(ANSAmed) - Napoli, 20 feb - E' salito su un barcone a
Tunisi, ha attraversato il Mediterraneo insieme a 120 profughi,
aspettando il momento di vedere Lampedusa e vivendo con loro
l'esperienza dei migranti. "Un'esperienza che non auguro a
nessuno e che mi ha spinto poi a cercare di capire cosa spinge
veramente le persone a intraprendere un viaggio così
pericoloso". A raccontare la sua esperienza è Giulio Piscitelli,
fotoreporter napoletano che dal 2010 si occupa di documentare il
fenomeno delle migrazioni nel Mediterraneo e che ha ora raccolto
il suo lavoro fino al 2015 in un libro "Harraga", presentato ai
Magazzini Fotografici a Napoli.
"Il lavoro di copertura dell'immigrazione è stata la mia
scuola di fotografia - racconta Piscitelli - e le foto coprono
il periodo fino al 2015, ma la questione immigrazione va avanti
e io continuo a lavorarci. Lo scorso anno sono stato in Iraq, e
quest'anno andrò a lavorare con una Ong spagnola che recupera i
migranti in mare". Ma l'esperienza più forte è quella del 2011,
quando Piscitelli coglie l'opportunità di viaggiare con i
migranti, in un viaggio di circa trenta ore su un barcone dove
finiscono quasi subito cibo e acqua con, appunto, gli Harraga,
coloro che viaggiano senza documenti e sono disposti a tutto pur
di sbarcare in Europa.
"Sono stato con i migranti anche nei giorni prima della
partenza - racconta - cercando di capire cosa li spingesse a
questo viaggio. Poi in mare aspettavamo con ansia di vedere
Lampedusa e quando era in vista la barca si è fermata.
Fortunatamente è arrivata la Guardia di Finanza a recuperarci
per portarci sull'isola. Un'esperienza fortissima e piena di
paura". Un'esperienza che Piscitelli ha restituito nelle sue
immagini, con un'idea da reporter, di memoria e documentazione:
"Non credo - spiega - che la forza della fotografia possa
cambiare la storia, può solo aiutare a ricordare se si vuole
ricordare. Purtroppo ora la memoria è sempre più breve anche
perché spesso poniamo poca attenzione alle immagini. Io spero
che le mie foto o quelle dei colleghi possano contribuire a
sedimentare la memoria. E' una speranza che valeva anche nei
campi di sterminio e spesso non lo ha fatto, perché la foto ha
un ruolo ma l'uomo a dargli un valore". (ANSAmed).
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