Quello che mi ha interessato particolarmente del tema e' l'uso di "capri espiatori" per scopi elettorali. Ho sentito, inoltre, il bisogno di confrontare l'immaginario con la realta'". "Se ti chiami Mohamed" e' un reportage in fumetto che, attraverso i suoi personaggi, i tanti "Mohamed" arrivati in Francia da Algeria, Tunisia, Marocco per lavorare nell'edilizia, in fabbrica, in miniera, attraversa un mondo di aspettative e di sogni, di rapporti e di disagi ancora attuali. Razzismo, esclusione sociale, solitudine, ingiustizia e miseria sono problematiche presenti in molte delle storie narrate di fianco ad altri temi centrali e costanti come la ricerca identitaria, la voglia di integrazione, il desiderio di mantenere un legame con il Paese d'origine. La scelta stilistica di rappresentare i personaggi come animali antropomorfi, un misto tra topi e orsi, avvicina il lavoro a capolavori come "Maus" di Art Spiegelman che ha raccontato egregiamente l'Olocausto per immagini. Ruillier ci commuove pagina dopo pagina facendoci avvertire la volonta' di assimilare l'essere immigrato all'essere portatore di un handicap. Ci porta nelle case dei maghrebini, vicino ai loro sentimenti piu' intimi, e ci mostra le loro preoccupazioni: quelle dei padri di non mostrare ai figli la sofferenza della migrazione ("Non voglio che portino rancore. Voglio che diventino buoni cittadini"); o quella delle madri di insegnare alle figlie lo studio, la liberta' e la bellezza ("Sono rimasta tutta la giornata a guardare delle cose così belle che mi facevano male gli occhi"), o quella dei figli stessi, costretti a vivere in bidonville e case provvisorie, tra fango e rifiuti, impegnati a rivendicare le umiliazioni subite dai loro genitori. "Noi figli del Maghreb periferico - dice uno dei personaggi -, abbiamo proprio bisogno di rivedere i valori basilari della psicanalisi.
Nel mito di Edipo bisogna uccidere il padre, ma noi, invece, dobbiamo farlo rivivere. È stato ucciso socialmente dal Colonialismo, dalle guerre, dall'immigrazione. Invece di ucciderlo, è compito nostro, di noi figli, farlo rivivere, fargli risollevare la testa, che stia dritto e fiero come quando si faceva fare una foto nel suo bel completo, per inviarla alla famiglia rimasta al paese e rassicurarla". "Non ho legami particolari con la storia del Maghreb, a parte che mio padre ha fatto la guerra di Algeria - racconta l'autore nato nel 1966 in Madagascar - Ma sono stato fortemente attratto dalle testimonianze di Yamina Benguigui. Lei riesce a dar voce alle persone, a mettere gli esseri umani dove altri mettono i numeri". (ANSAmed).
Riproduzione riservata © Copyright ANSA