(ANSA) - ROMA, 07 SET - E' la storia dura di speranze
infrante, di sudore e schiavitù quella delle vittime del
caporalato, malpagate, sfruttate e spesso vendute anche al Nord,
anche nella ricca Lombardia. E' la storia comune di Kali, 23
enne indiano, e di Irina, 27enne romena, che dai loro rispettivi
paesi sono partiti con la promessa di nuovi orizzonti, per poi
finire in una spirale di sfruttamento fino alla liberazione
grazie agli operatori di "Lule", Onlus lombarda che si occupa di
aiutare persone come loro. Era il 2017 quando Kali, morto il
padre, si è trovato solo con quattro fratelli e la madre da
mantenere, prestiti accesi per pagare le medicine e la modesta
dimora di famiglia, e su consiglio di un amico si è rivolto ad
un "agente per l'estero", di fatto un commerciante di manodopera
clandestina. Dopo il viaggio, lungo ed estenuante, via terra e
con un permesso di soggiorno con falso nome pronto ad attenderlo
in Italia, Kali ha dovuto accettare un "contratto" per cui
avrebbe dovuto risarcire 8 mila euro al suo "agente". "Arrivati
in Italia, eravamo in sette, ci hanno sistemato a Melegnano in
un'abitazione dove eravamo solo uomini - racconta - alcuni erano
destinati al volantinaggio, come doveva essere per me, altri ai
campi, ma mi dissero che avrei dovuto spostarmi a Cremona dove
c'era urgente richiesta di mano d'opera per la stagione estiva".
Ad agosto di tre anni fa il 23 enne ha iniziato a raccogliere
meloni e angurie, sulla carta per 6.70 euro l'ora, otto ore al
giorno. "Di fatto dovevo restituire 2 euro l'ora al mio
caporale, un mio connazionale, e lavoravamo oltre le 12 ore al
giorno - proseguito -. Inoltre dovevo pagare 150 euro al mese
per il cibo, tutto extra il debito per il viaggio, con un
contratto che mi faceva figurare impiegato solo quattro giorni
al mese". Nella casa dove viveva in una piccola comunità indiana
di persone suddivise in casta, spinte ad obbedire al caporale da
una sorta di "terrificante riconoscenza", Kali ha compreso che
non avrebbe potuto aiutare la sua famiglia, così ha deciso di
cercare un guadagno extra andando a vendere braccialetti di sera
per le strade di Cremona: "in quel frangente sono stato
avvicinato dagli operatori Lule che mi hanno salvato, ora spero
nel futuro". Irina è arrivata in Italia due anni fa, per amore,
seguendo il compagno che le aveva promesso un lavoro che avrebbe
cambiato loro la vita. "Siamo passati dal sud Italia, prima
abbiamo lavorato nei campi in Sicilia, Calabria, Puglia e poi a
Latina", ha raccontato la donna, "ho subito percosse e abusi
sessuali, sia da parte di connazionali braccianti che da parte
del mio datore di lavoro, italiano, sotto lo sguardo silenzioso
del mio compagno". Compreso di essere stata attirata in Italia
con l'inganno, si è legata a un altro romeno, che le ha promesso
nuove prospettive a Bergamo. "Di fatto sono stata venduta, ma
allora non lo sapevo - dice - ho iniziato a raccogliere insalata
per 16 ore al giorno, per ripagare il viaggio dalla Romania, in
condizioni pietose". Poi, un altro cambio di vita, drammatico:
"sono stata venduta di nuovo e sono stata costretta a
prostituirmi, fino all'incontro con una operatrice di Lule".
"Queste persone vengono trattate come macchine per produrre,
sbattute a lavorare sotto il sole tutto il giorno, senza acqua,
senza prospettive - spiega Marzia Gotti, coordinatrice servizi
prossimità territoriale della Onlus - Per loro esistono
protocolli di protezione e di reinserimento che facciamo fatica
a divulgare". Lule, sede storica ad Abbiategrasso (Milano),
svolge attività di sostegno e aiuto a favore dell'integrazione
sociale di persone a rischio di esclusione, vittime di
sfruttamento e tratta di persone. "Lavoriamo in silenzio dando
assistenza alle vittime di caporalato da quasi due anni", ha
proseguito Gotti, "ed è ormai evidente a tutti che esista anche
in Lombardia, al Nord del paese, ma troppo poco si fa per
informare le persone su come segnalare e come chiedere aiuto".
(ANSA).