ROMA - Un farmaco approvato per il trattamento dell'Alzheimer non dovrebbe essere prescritto a persone con decadimento cognitivo lieve, senza aver effettuato un test del DNA. In alcune persone con una specifica variante genetica, infatti, Donepezil accelera il declino cognitivo. Una nuova prova di come la genetica influenzi la risposta ai farmaci arriva da uno studio pubblicato sul Journal of Alzheimer's Disease.
Il decadimento cognitivo lieve è uno stato di transizione tra le normali diminuzioni nella cognizione dovute all'età e la demenza vera e propria. In questi casi, alcuni medici prescrivono Donepezil, il farmaco più utilizzato nei casi di Alzheimer conclamato, che tuttavia non è ancora stato approvato con l'indicazione di declino cognitivo lieve dalla Food and Drug Administration (FDA, l'ente regolatorio statunitense), e viene pertanto utilizzato 'off-label'.
I ricercatori della Università della California, Los Angeles, attraverso due test che misurano il deficit cognitivo, hanno scoperto però che in persone con la variante genetica K dell'enzima butirilcolinesterasi (o BChE-K) la sua assunzione è associata a declino cognitivo più rapido rispetto a chi, presentando la stessa condizione, assume placebo. "L'incremento di studi di farmacogenomica - spiega all'ANSA Nicola Ferrara, presidente Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (Sigg) - ci aiuterà ad arrivare a una personalizzazione della terapia, in assenza della quale, oggi, trattiamo un numero enorme di persone per avere effetti positivi in percentuale limitata, con aumento di costi e di effetti collaterali.
La possibilità di individuare segmenti di popolazione veramente rispondenti a un determinato farmaco sta diventando realtà. Auspichiamo che un tale tipo di ricerca, applicata a patologie come declino cognitivo e demenza, sia sempre più oggetto di finanziamenti, sia pubblici che privati".