I risultati dello studio verranno illustrati nel corso della conferenza stampa domani, alle 10.30, nella sala del consiglio dell'Università Kore - sede del rettorato. Il ritrovamento effettuato nel complesso funerario è frutto di un lungo e meticoloso lavoro della Missione Archeologica Italiana a Luxor, (M.A.I.L.) diretta da Francesco Tiradritti, archeologo e docente di Egittologia presso l'Università Kore di Enna, e rappresenta l'unica testimonianza archeologica della terribile epidemia.
Per le ricerche gli studiosi si sono serviti anche di una importante fonte: i testi ritrovati di San Cipriano, vescovo di Cartagine e scrittore che descrisse quella epidemia come la fine del mondo.
La scoperta ha consentito di ricostruire come venivano sepolti i cadaveri per far fronte al dilagare del contagio. Tiradritti, nel corso degli scavi ed in seguito a numerose e lunghe comparazioni svolte nel complesso funerario di Harwa e Akhimenru, ha infatti individuato alcune sepolture con caratteristiche insolite: diversi corpi, infatti, erano stati coperti con uno spesso strato di calce, un materiale adoperato in antichità per la sterilizzazione dei luoghi infetti. Nelle vicinanze dei luoghi di sepoltura sono state trovate anche fornaci che servivano per la preparazione della calce ed i resti di una grande pira nella quale sono state riscontrate diverse tracce di resti umani bruciati. Questi elementi lasciano presumere che le sepolture individuate dalla missione italiana costituiscano, in realtà, una sorta di fossa comune allestita per fronteggiare un'epidemia. Assieme ai resti umani e' stata rinvenuta anche della ceramica del III scolo d. C. (ANSAmed)
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