"Emna Chargui è stata oggetto di insulti e diffamazioni e ha ricevuto minacce di morte", ha dichiarato l'Osservatorio, esprimendo sorpresa nel vedere la giovane donna comparire davanti a un giudice per "aver offeso la religione". In relazione alla vicenda, il presidente del Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini (Snjt) Néji Bghouri, ha ritenuto queste accuse uno scandalo di stato e una pericolosa indicazione del ritorno della politica della repressione e della museruola. Emna Chargui, studentessa di 26 anni, ha condiviso il 4 maggio scorso sulla sua pagina facebook una parodia del Corano intitolata "Sourate Corona", a proposito della pandemia di Covid-19 imitando lo stile del testo sacro. "Non vi è alcuna differenza tra re e schiavi, seguire la scienza e abbandonare le tradizioni", si puo' leggere nel testo con la conclusione ironica "così parla il grande Jilou", un nome della divinità inventato. L'accusa ha aperto un'inchiesta e la ragazza è stata convocata il 5 maggio alla stazione di polizia della Kasbah di Tunisi, ha dichiarato il suo avvocato Inès Trabelsi. Ieri Emna è stata ascoltata da un procuratore generale del tribunale di primo grado della capitale che ha deciso di perseguirla per "attacco al sacro", "attacco alla morale e istigazione alla violenza", ha aggiunto l'avvocato, specificando che la ragazza è in stato di libertà.
Secondo l'avvocato Trabelsi, la studentessa è perseguita ai sensi dell'articolo 6 della Costituzione che stabilisce che "lo Stato protegge la religione". La legge fondamentale votata nel 2014, frutto di un compromesso storico, prevede che lo stato "garantisca la libertà di credo, di coscienza" impegnandosi a "proteggere il sacro e impedire che venga minato". Il 28 maggio, Emna dovrà comparire dinanzi al Tribunale penale di primo grado, ha detto ancora l'avvocato. Varie le reazioni sui social network, ove alcuni utenti hanno denunciato una pubblicazione "provocatoria" e "irrispettosa" e approvato i procedimenti legali intrapresi dalle autorità, mentre altri li hanno deplorati, definendoli un attacco alla libertà di espressione.
(ANSAmed).
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