E' la legge Tatarella del 1995, il modello proposto da Matteo Renzi per trovare un'intesa nel Pd sul metodo di elezione del futuro Senato. Come "il principio" sarà tradotto in una "soluzione tecnica" che sia in grado di mettere d'accordo maggioranza e minoranza Pd, è ancora da definire. Ma il funzionamento del "Tatarellum" aiuta a capire su quali binari ci si potrà muovere.
La legge elettorale per le regionali che prende il nome dall'allora deputato di Alleanza Nazionale Pinuccio Tatarella, nella sua versione originaria prevedeva l'elezione del presidente della Regione nell'ambito di un listino regionale bloccato, di cui era il capolista. Il candidato alla testa della lista più votata dai cittadini diventava però presidente solo dopo un voto del Consiglio regionale, che ufficialmente lo nominava. Questo meccanismo, ha spiegato Matteo Renzi in direzione, ha fatto sì che quando Pier Luigi Bersani, eletto alla guida dell'Emilia Romagna, ha scelto di andare a Roma a fare il ministro, a eleggere il suo successore Antonio La Forgia è stato il consiglio regionale e non si sono dovuti chiamare di nuovo gli elettori alle urne.
Un meccanismo del genere, spiegano i tecnici del governo, è conciliabile con l'attuale testo della riforma che prevede che i futuri senatori-consiglieri siano eletti dai Consigli regionali.
Ed è conciliabile, almeno in teoria, anche con la richiesta della minoranza Pd di far passare l'elezione da una scelta diretta dei cittadini. La minoranza scioglierà la sua riserva solo dopo aver letto la formulazione finale del testo.
Per il resto, il Tatarellum era un sistema elettorale misto tra proporzionale e maggioritario: l'80% dei seggi veniva ripartito in modo proporzionale tra le liste provinciali dei partiti e il restante 20% andava alla lista del candidato presidente vincitore. Il testo della riforma costituzionale in discussione prevede invece al momento, all'articolo 2 comma 2, che "i Consigli regionali eleggono, con metodo proporzionale, i senatori tra i propri componenti".