Sardegna

Duplice tentato omicidio a Orune

Agguato all'alba nelle campagne del paese

Redazione Ansa

di Maria Giovanna Fossati

Una raffica di fucilate si abbatte sul fuoristrada che all'alba li porta al loro ovile, nelle campagne di Orune. Ma i due occupanti, Giampietro Chessa, di 78 anni, e il figlio Ignazio, di 48, rimangono miracolosamente illesi sotto la pioggia di pallettoni che avrebbe potuto ucciderli. Riescono a scappare dopo una corsa folle sull'auto crivellata di colpi e a mettersi al riparo nell'ovile di un parente, da cui lanciano l'allarme.

I carabinieri della stazione di Orune li raggiungono e li portano in caserma per un primo interrogatorio. Subito dopo sopraggiungono i colleghi della Compagnia di Bitti e del Comando provinciale di Nuoro che iniziano il sopralluogo nel luogo dell'agguato e setacciano la zona con posti di blocco in tutte le strade che portano al paese. Padre e figlio sono incensurati: Giampietro era stato coinvolto, ma subito scagionato, nell'inchiesta per l'omicidio di una ragazza di 14 anni, Maria Teresa Moni, avvenuto nel 1977 a Orune.

Sul duplice tentato omicidio c'è l'ombra della faida che nel 2007 aveva provocato già due vittime nella famiglia Chessa: i figli di Giampietro, Nicola e Serafino, di 31 e 34 anni, erano stati freddati in una stradina di penetrazione agraria nelle campagne di Nule mentre rientravano dall'ovile. Ed è proprio tra le maglie di questa faida, che da oltre 50 anni tiene sotto scacco il paese, che gli investigatori dell'Arma stanno indagando.

Nella mappa delle famiglie contrapposte, quella dei Chessa ha pagato il prezzo più feroce: quattro fratelli, cugini di Giampietro Chessa e fratelli di don Giovanni Maria, parroco della Cattedrale di Nuoro, sono stati uccisi in diversi momenti dalla fine degli anni '60. Oggi per la prima volta, quando si è visto riaffacciare l'ombra della morte sulla sua famiglia, il prelato barbaricino parla. Parole contate ma pesanti come un macigno. "Da 50 anni la famiglia Chessa è vittima di uno Stato patrigno e una "zustiscia" (giustizia ndr) matrigna", dice nel suo atto d'accusa: tutti i delitti infatti sono rimasti impuniti. Nella maggior parte degli omicidi della faida di Orune la modalità dell'agguato è il muretto a secco, qualche volta la piazza o il bar; il movente rimane spesso sconosciuto e i colpevoli non vengono quasi mai assicurati alla giustizia.

A raccontare questa lunga scia di sangue, che in mezzo secolo ha lasciato sul campo più di cento vittime, non ci sono dunque atti giudiziari. Un incubo che non finisce nonostante il trascorrere del tempo. Nel 2007, con il sacrificio di Nicola e Serafino, la famiglia Chessa sembrava aver versato le sue ultime lacrime. Scrivevano i giornali dell'epoca: "Hanno ucciso due giovani incensurati la cui unica colpa era probabilmente quella di appartenere a una famiglia nel mirino della faida". Ma evidentemente non bastava ancora. A distanza di un decennio un altro agguato si è abbattuto su di loro: avrebbe potuto costare la vita ai due superstiti maschi dei Chessa, ma fortunatamente questa volta chi voleva colpire non ha centrato il bersaglio.

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