Liguria

'Genova ore 11:36', un film monumento al ricordo

Parissone, storie che si intrecciano in maniera ribelle

Redazione Ansa

Ciò che è stato, ciò che è, ciò che sarà. Perché "il ricordo, la memoria sono una medicina", arma potente di una comunità che esiste e resiste e che fa di queste radici via di nutrimento della coesione. E chi potrà mai dimenticare la tragedia di Ponte Morandi, avvenuta il 14 agosto 2018 alle 11.36 a Genova. Chi può dimenticare ciò che è stato. Perché questo mai accada, un omaggio doloroso a una città dolente e orgogliosa: 42° Parallelo ha realizzato un film documentario (questa sera in prima gratuita al Teatro della Gioventù a Genova e il 15 settembre i prima serata su Rai3) che indaga il Fato, ricorda i nomi e i volti delle vittime tutte, mostra crudo il dolore di chi è rimasto e di chi ha perso. Sullo sfondo la domanda, ubiqua: perché? Perché se ne è andato uno al posto dell'altro? Perché è successo? Perché? "Sei storie che si incrociano in maniera ribelle - ha detto Mauro Parissone, direttore esecutivo di 42° Parallelo -. Quella di Luigi e Gianluca che si sono scambiati la guida del mezzo all'ultimo momento: Luigi è morto e Gianluca no, rimasto appeso accanto al corpo dell'amico nell'auto pencolante sul burrone. Quella di Rita e Federico, la cui Golf cade assieme a un'altra macchina simile e atterra dopo un volo di 100 metri sul semiasse mentre l'altra finisce sul tettuccio schiantando in un attimo le vite all'interno". Il fato, il destino: 'Tu non chiedere, tanto non è dato sapere quale sorte a me e quale altra a te gli dei concedano' scriveva Orazio. E ancora, ciò che è: "Di chi ci ricordiamo - ha detto ancora Parissone -: come per Concordia ci ricordiamo il volto di Schettino ma non quello delle 36 vittime, la stessa cosa potrebbe succedere in questo caso che possiamo considerare una delle più terribili tragedie dovuta a mano d'uomo della Storia. Vogliamo restituire memoria a chi è morto, a chi ha perso tutto". E infine ciò che sarà. Tutto il film è pervaso da due temi affrontati "in maniera non banale: la necessità di capire come questo sia potuto accadere - ha aggiunto Parissone - e la sete di giustizia. Capire e esser sicuri che la giustizia vada fino in fondo". Nel caso di 'Genova ore 11:36' gli autori hanno collegato un insieme di spazi, un andare e venire nelle coordinate del tempo che si riordina in uno spazio visivo e in uno scenario non inventato per una pellicole struggente, che afferra il cuore di chi quel giorno c'era e di chi non c'era e lo stritola. "Perché la realtà - conclude Parissone - offre spunti che la finzione non potrà toccare mai". Nei volti del ragazzo sotto il ponte, della donna che ha perso il marito e della sopravvissuta che raccontano un dramma inimmaginabile c'è co-temporalità quasi metafisica. E le loro parole, i loro occhi, i loro gesti esaltati da rapidi flashback suscitano un compassione non sterile che fa concretamente percepire la sofferenza e innescherà, in tutti e chiunque, parole già e mai abbastanza sentite: date a Genova giustizia.

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