L'export agroalimentare italiano corre veloce sui mercati esteri
e ha totalizzato nel 2016 il valore di 38,4 mld, con un balzo
del 73% negli ultimi dieci anni. Ma su questa espansione pesa lo
spettro delle barriere tariffarie, come i dazi, e quelle non
tariffarie, principalmente sanitarie, che nel 2016 hanno
registrato picchi, come nel caso della Turchia, superiori del
40% ai prezzi all'import. Lo afferma Denis Pantini, responsabile
area agroalimentare di Nomisma, illustrando l'impatto negativo
degli ostacoli commerciali sul settore primario in occasione
della Conferenza economica della Cia-Agricoltori italiani a
Bologna.
Dietro la Turchia, ci sono India e Tailandia sul podio dei Paesi
che principalmente zavorrano l'export italiano, con percentuali
superiori al 30%. Pantini segnala la quinta posizione del
Canada, attualmente attestato su un impatto negativo del 15,9%
sull'export made in Italy di cibo e bevande che però "con
l'avvio del Ceta si ridurrà a zero". "Questo trattato di libero
scambio commerciale - aggiunge Pantini - si dimostrerà
senz'altro valido. Per sostenere lo sviluppo del nostro export
non si può fare a meno di questo tipo di accordi soprattutto
alla luce di rigurgiti protezionistici come quelli segnalati in
Gran Bretagna e negli Usa".
"Sorprende in particolare - conclude Pantini - la crescita
delle barriere non tariffarie, aumentate negli ultimi quattro
anni di 800 unità. E ora preoccupa l'incognita Trump".
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Nomisma, incubo dazi pesa su agroalimentare, +73% da 2006
Pantini,ok trattati come Ceta,sparirà impatto barriere in Canada