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Sacco (U. Aquila), anticorpi monoclonali indicati se comorbidità

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Sacco (U. Aquila), anticorpi monoclonali indicati se comorbidità

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In collaborazione con Teva

Questa terapia per emicrania aiuta per depressione e disabilità

Bologna, 01 marzo 2024, 20:37

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Simona Sacco, professoressa ordinaria di Neurologia dell 'Università dell 'Aquila - RIPRODUZIONE RISERVATA

Simona Sacco, professoressa ordinaria di Neurologia dell 'Università dell 'Aquila - RIPRODUZIONE RISERVATA
Simona Sacco, professoressa ordinaria di Neurologia dell 'Università dell 'Aquila - RIPRODUZIONE RISERVATA

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L’emicrania colpisce soprattutto le donne e le accompagna nelle diverse fasi della loro vita. Con “un’esperienza di svariati anni nell’uso di anticorpi monoclonali riusciamo ad individuare i pazienti più idonei al trattamento in base sia all’esperienza clinica sia agli studi scientifici”, spiega Simona Sacco, professoressa ordinaria di Neurologia del Dipartimento di Scienze Cliniche Applicate e Biotecnologiche dell’Università dell’Aquila. Non tutti i pazienti, però, possono accedere a questo trattamento in regime di rimborsabilità da parte del sistema sanitario. “L’Aifa ci impone di utilizzarli in pazienti che hanno avuto almeno tre fallimenti terapeutici e hanno almeno 8 giorni di cefalea al mese e un certo livello di disabilità – chiarisce la professoressa Sacco - In quest’ambito, poi, ci sono pazienti che vanno bene per il trattamento e altri meno. Coloro che hanno maggiore probabilità di rispondere positivamente sono i pazienti che hanno un minor grado di severe comorbidità, con una durata di emicrania cronica più bassa e che non hanno la cefalea da abuso di farmaci. Con gli anticorpi monoclonali, però, abbiamo osservato anche delle buone probabilità di risposta in pazienti estremamente complessi – aggiunge la professoressa Sacco - con una lunghissima storia di malattia, con una medication overuse e con una severa comorbidità”. Proprio la presenza di più patologie, in primis la depressione, fa di questo tipo di trattamento “un importantissimo valore aggiunto” in pazienti con comorbidità. “Si tratta di farmaci che hanno una selettività e una scarsa integrazione con altre molecole – sottolinea la professoressa Sacco - . Il paziente con comorbidità è un paziente che di solito prende più farmaci, quindi avere dei farmaci con bassa possibilità di interazione mette tranquilli. Si tratta anche di farmaci molto semplici da utilizzare, perché sono mensili, non hanno un dosaggio giornaliero e questo aiuta il paziente che già deve affrontare altre terapie”. “C’è anche un tema di efficacia di queste molecole, che hanno mostrato di funzionare molto bene ad esempio con pazienti affetti da depressione – dettaglia - Ci sono dei dati da studi clinici che indicano che i pazienti con depressione trattati con anticorpi monoclonali anti Cgrp hanno ottimi risultati perché non solo migliora l’emicrania ma anche il disturbo depressivo tende a migliorare. Alla luce degli studi e dell’esperienza clinica anche la terapia con anticorpi monoclonali anti Cgrp rientrerà nelle “linee guida congiunte della Sisc (Società italiana per lo studio delle cefalee) e della Ihs (international headache society)”, prossime alla pubblicazione su riviste internazionali, “in cui si daranno raccomandazioni su tutti i farmaci utilizzati per l’emicrania, sia per il trattamento acuto sia per il trattamento preventivo”, conclude la professoressa Sacco.

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