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Alberto Mattioli racconta la non-politica culturale della destra

Alberto Mattioli racconta la non-politica culturale della destra

'Destra maldestra', cronaca di una occasione mancata

MILANO, 16 maggio 2024, 17:02

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

La destra al governo potrebbe (e dovrebbe) fare una politica culturale, di cui invece non si occupa, limitandosi a occupare poltrone. È una denuncia, ironica e anche divertente, ma non per questo meno dolente, quella di Alberto Mattioli, giornalista, critico musicale e scrittore che ha firmato il pamphlet 'Destra maldestra. La spolitica culturale del governo Meloni' (Chiarelettere, pp. 120, 12,90 euro).
    Senza preconcetti ideologici, Mattioli fa una dinamica di quanto accaduto dall'insediamento del governo, quando il primo ad essere ricevuto a Palazzo Chigi fu Pino Insegno. E lo fa senza risparmiare critiche alla sinistra che strilla "per la lottizzazione sistematica di ogni poltronissima, poltrona, sedia, strapuntino. Ma, in questo caso, dopo aver lottizzato a sua volta per decenni, quindi ancora con una bella dose di ipocrisia" e grida al fascismo, cosa "controproducente" perché sposta sul piano ideologico un discorso empirico della valutazione dei risultati. Sintetizzando: il ministro della Cultura Gennaro "Sangiuliano and friends non vanno criticati perché forse sono stati fascisti. Ma perché sono sicuramente mediocri".
    Esempio di mediocrità è la scelta del ministro (che Mattioli chiama Genny-la-Gaffe ricordando episodi come l'assicurazione data alla premiazione dello Strega, di cui era giudice, che avrebbe letto i libri o la definizione di Dante Alighieri come fondatore della Destra) di scegliere come consulente per la musica non Riccardo Muti (Daniele Gatti, Riccardo Chailly, Michele Mariotti....) o, volendo una donna, Speranza Scappucci, voluta come direttore principale ospite dal Covent Garden di Londra, ma Beatrice Venezi, che ha poco curriculum e "non è un celebre direttore d'orchestra che è anche di destra. È un direttore d'orchestra diventato celebre perché è di destra". E poi altri esempi sono ancora la bagarre dei teatri di Roma, il tentativo fallito di spostare Stephane Lissner dal San Carlo di Napoli. Impossibile non affrontare il tema di Roberto Vannacci e di una destra che sembra prediligere lui al colto seppure rutilante Vittorio Sgarbi.
    E fin qui il quadro della situazione, ma Mattioli prova anche a spiegare cosa si potrebbe fare. Intanto smettere di guardare al passato, "non fermarsi alla gestione del potere ma elaborare il futuro". Conservare quello che di buono c'è (evitando di cancellare iniziative che funzionano come il bonus Cultura per i diciottenni), mettendo "alla guida dei musei degli storici dell'arte con i loro bravi titoli accademici", selezionando "la classe intellettuale non solo per affinità politiche" ma anche per competenza e merito e insomma pensando "a teatri e musei, archivi e biblioteche come qualcosa di prezioso e fondamentale, invertendo una volta l'ordine delle priorità e spendere non per creare consenso ma per creare futuro". Però "a questa destra, purtroppo, manca tutto quel che servirebbe per fare una vera politica culturale. Per questo resta una destra maldestra".
   
   

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