Regioni

Patata Verrayes è Presidio slow food

A fine anni novanta era quasi scomparsa

Redazione Ansa

La patata Verrayes è il nuovo Presidio Slow Food della Valle d'Aosta e l'ultimo del 2020 a entrare nella famiglia di prodotti tutelati dall'associazione, che ne conta 342 in Italia, di cui 25 lanciati negli ultimi 12 mesi.
    La patata arrivò in Valle d'Aosta verso la fine del Settecento ma non venne coltivata in modo regolare fino al 1817, anno in cui una grande carestia colpì la regione, costringendo la popolazione a ricorrere a questo tubero per avere di che sfamarsi. La patata Verrayes, caratterizzata da una buccia viola lucente, da occhi profondi e screziature arancioni, è considerata - fa sapere Slow food Italia - l'ultima varietà tradizionale della regione, radicatasi nel territorio grazie ai suoi terreni ricchi di minerali e a un clima con elevate escursioni termiche fra la notte e il giorno.
    Con l'arrivo delle varietà moderne le patate tradizionali come la Verrayes hanno subìto un inarrestabile declino. "Negli anni Novanta la coltivazione di questa varietà di patata era ridotta al lumicino, prossima all'estinzione" ma "la sua salvezza - spiega Federico Chierico, referente dei produttori - è legata alla circolazione dei semi che, in passato, era una pratica abituale. Verrayes è il nome del paese da cui proveniva Giuliano Martignene, il tecnico dell'assessorato Agricoltura della Regione Valle d'Aosta che, nel 1998, è entrato fortunosamente in possesso di alcuni tuberi ancora coltivati da un contadino di Covarey e si è rivolto alla fondazione svizzera 'Pro Specie Rara', impegnata nella tutela della biodiversità agricola alpina, per farli esaminare".
    In Valle d'Aosta, la riscoperta di questa patata tradizionale ha portato con sé un lungo percorso di conoscenza e comprensione delle usanze familiari locali che si sono radicate nei secoli.
    "Mio padre ha sempre coltivato questa varietà di patata e ci teneva molto a farlo", riflette Carlo Favre, produttore di patate Verrayes insieme ai fratelli. "La mia famiglia, come tante in montagna, non viveva tutto l'anno nella stessa casa: gli inverni li passavamo a valle, dove avevamo vigneti, frutteti e castagni, mentre in estate tornavamo sui monti e seminavamo i campi a 1.700 metri". 

Leggi l'articolo completo su ANSA.it