Trentino

Ossa di stambecco del neolitico, nuove analisi sui reperti

Redazione Ansa

(ANSA) - BOLZANO, 18 GEN - Le ossa di stambecco risalenti al neolitico trovate nel luglio scorso da quattro alpinisti a Cima Fiammante, a quota 3.228 metri, nel Parco naturale del Gruppo di Tessa, in Alto Adige, sono state trasferite al Museo di Scienze naturali a Bolzano, dove saranno condotte analisi.
    "Il passo più importante ora è quello di classificare il reperto", afferma David Gruber, direttore del Museo di Scienze naturali dell'Alto Adige, che ha accompagnato il trasferimento dei resti animali del periodo neolitico. È già stato accertato che i resti dello stambecco sono vecchi di almeno 7.000 anni, come confermato dall'analisi al radiocarbonio effettuata all'inizio di dicembre. Ora l'Ufficio archeologico incaricherà un esperto di esaminare ulteriormente i resti. "Se si può dimostrare che l'uomo ha tenuto gli animali lì, a più di 3.000 metri di altitudine, o che gli stambecchi sono morti per mano dell'uomo, possiamo considerare tali reperti di rilevanza archeologica", spiega Gruber. Per il resto, si tratta di una scoperta di importanza zoologica. Gli esperti, nel frattempo, stanno seguendo con grande interesse anche i ritrovamenti di resti animali risalenti al periodo Neolitico.
    Si attendono anche i risultati di ulteriori analisi genetiche. "Lo stambecco è stato oggetto di una caccia massiccia nella regione alpina tra il XVI e il XIX secolo e a metà dell'Ottocento era praticamente estinto; nel Gran Sasso c'era una colonia protetta da regio decreto formata da circa 50 animali", spiega Petra Kranebitter, conservatrice zoologica al Museo di Scienze naturali. Ci sono state reintroduzioni di alcune specie e alla fine del 2013 la popolazione segnalata in Alto Adige era formata da circa 1.400 animali. "In Svizzera esistevano confronti genetici. Il ritrovamento presso Cima Fiammante è il più orientale finora effettuato nell'epoca in cui le colonie di stambecchi erano numerose e distribuite omogeneamente: siamo curiosi di scoprire quali risultati porterà il confronto genetico dei reperti con quelli dell'attuale popolazione di ungulati", spiega Kranebitter. (ANSA).
   

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