Trentino

L'orrore della campagna di Russia vissuto da un reduce

"In mezzo ai girasoli e sotto le betulle" di Corrado Palmarin

Redazione Ansa

(ANSA) - BOLZANO, 08 MAR - Era reduce dalla campagna di Russia del 1942, Umberto Montini, bolzanino classe 1922 e faceva parte dell'Armir, (l'armata che invase l'Unione Sovietica e si attestò sul fronte del Don). L'imponente offensiva russa, denominata "piccolo Saturno", travolse le postazioni italiane costringendo l'esercito ad una disordinata ritirata che con la marcia del "Davaj", che durò diversi giorni, causò migliaia di morti. Dopo che fu fatto prigioniero la sua detenzione in quel lager-ospedale di Zubova Poljana durò circa 3 anni. Corrado Palmarin racconta nel romanzo "In mezzo ai girasoli e sotto le betulle" (Impressioni grafiche, 15 euro) la storia di Umberto Montini.
    Nel 1997 Montini, ormai 75enne, diede a Palmarin le sue memorie, i suoi scritti e le lettere che aveva ricevuto da un'infermiera russa che lo aveva curato in un lager-ospedale russo, dove passò la prigionia dal 1943 al 1945. La corrispondenza che intrattenne con Anfisa, l'infermiera che lo aveva curato, fu dovuta ad un appello che la Rai di Bolzano, attraverso il suo corrispondente Demetrio Volcic a Mosca, aveva trasmesso alla televisione russa alla ricerca di quella dottoressa che aveva salvato Montini da morte certa in quell'ospedale di Poljana. Lo scritto è stato arricchito da ricerche attraverso l'archivio storico di Bolzano, di persone e luoghi inseriti negli appunti di Montini, i Bondy (negozio di pellame di piazza Walther a Bolzano, gestito da una famiglia ebrea scappata in seguito alle leggi razziali in Cile), Silvio Flor (un dissidente antifascista, costretto a fuggire in Russia, sindacalista descritto nel libro di Klara Rieder, edizione Raetia) e Guido Marschik, il commilitone e amico che lo ha salvato durante la ritirata e morto in prigionia a Tambov nel 1943.
    Ora Corrado Palmarin, poliziotto bolzanino di 56 anni, ha scritto un libro per far capire meglio, come spiega, un periodo nel quale il regime italiano aveva mandato 220.000 uomini a combattere a 3.000 km da casa, "per una guerra che molti non sentivano e che la propaganda proclamava breve e vincente".
    (ANSA).
   

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