Toscana

Corte: sulla Concordia 32 morti per le scelte criminali di Schettino

Si mise in salvo abbandonando passeggeri. Per lui fuga da realta'

Redazione Ansa

Per risalire alle cause del naufragio della Costa  Concordia e alla morte dei 32 passeggeri bisogna concentrare l'attenzione su due momenti: l'impatto della nave con lo scoglio davanti all'Isola del Giglio e la gestione dell'emergenza dopo l'incidente. E per i giudici del tribunale di Grosseto, il principale responsabile di ciò che avvenne in entrambe la fasi fu il comandante Francesco Schettino. Per questo lo hanno condannato a 16 anni di reclusione. Nessun rilievo alla nave, invece: la Concordia "era pienamente conforme alle prescrizioni, sotto il profilo del funzionamento e dell'efficienza dei sistemi di sicurezza".

Fase uno, l'inchino. Nella motivazione della sentenza i giudici definiscono una scelta "criminale" quella di "portare una nave, con quelle caratteristiche e a quella velocità, così in prossimità dell'isola". La responsabilità del naufragio, chiosano, "è pertanto di Schettino". Attenzione, però, non fu l'impatto a provocare le morti, ma quanto avvenne dopo. Fase due, l'emergenza: secondo i giudici, "i 32 decessi non si sarebbero verificati" se Schettino l'avesse gestita "con perizia e diligenza". Invece improvvisò, non seguì i regolamenti, dette ordini a raffica, lanciò in ritardo gli allarmi, costringendo i passeggeri a vivere una "farsa", una "paradossale scena del teatro dell'assurdo", con gli annunci degli altoparlanti che volevano tranquillizzare ma che erano "credibili come Pinocchio", ordini che arrivavano da un uomo ormai "in fuga dalla realtà".

In 553 pagine, i giudici ricostruiscono quel 12 gennaio 2012. Citano pure Domnica Cemortan, relegandola al ruolo di comparsa. La moldava, ricordano, fu ospite al tavolo "per due" prenotato da Schettino: per permetterle di finire il dessert e arrivare in tempo per la manovra dell'inchino, il comandante fece rallentare la nave. Schettino poi salì in plancia, in ritardo, e questo non gli consentì "l'assunzione di tutte le necessarie informazioni". Con lui c'era anche Domnica che, "tuttavia, rimane in disparte". L'inchino, deciso da Schettino la settimana precedente, non fu né per ragioni commerciali (la pubblicità che avrebbe fatto alla Costa) né per omaggiare l'ex comandante Mario Palombo, ma "per fare un piacere" al maitre Antonello Tievoli, che ha una casa al porto del Giglio e che quella sera era stato invitato in plancia ad ammirare lo spettacolo, insieme all'hotel director Marrico Giampedroni. Schettino, scrivono i giudici, era "sicuro di poter condurre l'azzardata manovra con tranquillità", ma sopravalutò le "sue abilità marinaresche".

Secondo i giudici, dopo il naufragio, quando salì su una scialuppa per lasciare "definitivamente la Concordia", lascio i passeggeri a loro stessi: la situazione era tale "da rendere impossibile, o comunque difficile", per le persone ancora a bordo "trovare la salvezza". Proprio in quei momenti, lo chiamò l'altro personaggio di questa storia, il comandante dell'autorità marittima Gregorio De Falco, quello che gli gridò: "Salga a bordo". Al telefono, scrivono i giudici, Schettino "improvvisava, raccontando un film che scorreva solo nella sua immaginazione", comportandosi "alla stregua di un duellante" nel teatro dell'improvvisazione.

   

Leggi l'articolo completo su ANSA.it