(ANSA) - MILANO, 22 NOV - Se n'è andato il barbaro sognante,
ma alla fine il sogno di conquistare Roma è diventato realtà.
Roberto Maroni è morto nella sua Varese, dov'era nato 67 anni fa
e dove tutto è iniziato quando era uno studente di Legge che
votava Democrazia Proletaria. L'incontro nel 1979 con Umberto
Bossi cambiò la sua vita e se "lui è il papà della Lega, io ne
sono la mamma", spiegava. Perché da quel giorno la politica
diventò il suo lavoro, mentre il calcio e la musica restarono
solo passioni. Ha continuato ad andare a San Siro a vedere il
Milan e ha continuato a suonare blues con l'organo Hammond nella
sua band, i Distretto 51, oltre ad ascoltare i dischi del suo
idolo Bruce Springsteen, ma soprattutto è diventato per oltre
vent'anni uno degli uomini politici più importanti d'Italia: è
tra gli 80 leghisti che rappresentarono per la prima volta la
Lega in parlamento nel 1992, poi è diventato ministro
dell'Interno e vicepresidente del Consiglio nel 1994, ministro
del Lavoro nel 2001 e ancora ministro dell'Interno nel 2008
sempre con Silvio Berlusconi presidente del Consiglio, per
chiudere infine la sua carriera nelle istituzioni come
presidente della Regione Lombardia dal 2013 al 2018. Aveva
annunciato la sua candidatura per diventare sindaco di Varese ma
la malattia lo ha costretto a rinunciare un anno fa. Tutta la
vita sempre nella Lega, di cui è stato fondatore e segretario
con rapporti non sempre facili sia con Umberto Bossi che con
Matteo Salvini. Da braccio destro del senatur e grande mediatore
al suo posto con Berlusconi, ne è diventato avversario in più
occasioni, a partire dalla caduta del primo governo di
centrodestra nel 1995 quando si oppose alla sfiducia decisa da
Bossi, venendo allontanato dal partito. Durò poco, una lettera
di scuse segnò il suo rientro nel partito e iniziò la fase dura
della Lega secessionista, alla quale Maroni contribuì coniando
uno slogan diventato poi storico, cioè 'Prima il Nord'. Ma la
vera frattura con Bossi fu solo rimandata e arrivò nel 2012
quando le inchieste della magistratura travolsero tutto 'il
cerchio magico' attorno al segretario della Lega, accusato di
tutto quello di cui la Lega aveva sempre accusato gli altri
partiti politici. A capo della rivolta dei militanti ci fu
proprio Maroni, colpito dal divieto di rappresentare la Lega in
qualsiasi manifestazione ufficiale, fino a quando lo stesso
Bossi comprese che era davvero arrivato il momento di fare
pulizia e partecipò lui pure alla celebre serata delle scope di
Bergamo, che segnò di fatto il passaggio di consegne tra i due.
Fu infatti Maroni a diventare segretario del partito, una carica
tenuta per un solo anno per poi andare a chiudere un altro lungo
regno, quello di Roberto Formigoni alla presidenza della Regione
Lombardia. Lasciata a Matteo Salvini la guida della Lega, anche
con lui i rapporti si sono fatti sempre più difficili ("Con me
si è comportato come uno stalinista", disse) e Maroni è stato
tra i primi a chiederne le dimissioni dopo il risultato sotto il
10% delle ultime elezioni politiche. Troppo diversa la direzione
in cui ha portato la Lega rispetto a quella pensata e creata da
lui e Bossi, che comunque al Nord sono sempre rimasti legati
anche quando sono scesi a Roma a governare. Federalista ma non
secessionista, toni moderati ma sempre con grande passione,
ascolto dei militanti e ostilità nei confronti di qualsiasi
'cerchio magico' sono state le caratteristiche di un uomo che,
anche nella sua ultima intervista al Corriere della Sera, si è
definito "un sognatore". Perché oltre ai 'vaffa' del barbaro, il
militante leghista secondo lui ha sempre avuto "un sogno, cioè
un progetto realizzabile a differenza dell'utopia". E Maroni lo
ha realizzato. (ANSA).