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Zoff: 'Bearzot e io, capirsi senza parole'

'Con il ct affetto vero perché c'era il rispetto dei ruoli'

Zoff: 'Bearzot e io, capirsi senza parole'

Redazione Ansa

Il Mondiale del 1982 vinto a 40 anni suonati è solo uno dei suoi tanti primati. Dino Zoff, oggi schivo come allora, dice di "non ricordarli", che ormai "non hanno importanza". Ma dentro quel Mundial e' il ricordo più vivo, per il 'Mito' del calcio azzurro. Chi è stato Zoff per il calcio? "Uno che ha lavorato bene, soprattutto con serietà.
    Anche se è poco umile dirlo, sono stato abbastanza un buon esempio. Siccome tutti me lo ripetono, deve essere vero ed io ci credo".
    Si coglie però dal timbro della voce che l'eco dell'avventura spagnola svetta: "La partita che ricordo meglio? Quella con il Brasile, in particolare la parata a tempo quasi scaduto. Quel colpo di testa di Oscar poteva rovinare tutto. Invece riuscii a tenere la palla sulla linea. Passai comunque 5 secondi di terribili, temendo che l'arbitro potesse veder male, anche perché non capivo dov'era. Non fu la parata più bella, ma certo la più difficile".
    La Nazionale gli ha regalato la gioia più grande di una carriera inibitabile: la Coppa del mondo alzata da capitano (quel gesto ispirò un francobollo disegnato da Guttuso) l'11 luglio 1982 a Madrid, grazie al 3-1 in finale contro la Germania Ovest. Trofeo festeggiato, dopo un bacio in mondovisione al tecnico-padre Enzo Bearzot, al ritorno in albergo, con mezzo bicchiere di vino e una sigaretta assieme a Gaetano Scirea, compagno di stanza, alla Juventus ed in azzurro.
    Due figure, due protagonisti di quella spedizione, che a 40 anni di distanza non hanno perso nulla della loro lucentezza.
    "Il rapporto con Bearzot era veramente affettuoso. Attriti? Tra noi non erano possibili perché entrambi conoscevamo i rispettivi ruoli e sapevamo rispettarli. Le invasioni di campo erano fuori discussione, non ce n'era ragione".
    Scirea, scomparso nel 1989 in un incidente stradale in Polonia, "era un uomo di grande stile e classe, sia in campo che fuori. Una persona stupenda, con il raro dono di farsi capire senza bisogno di spendere tante parole. Tutt'ora mi manca moltissimo".
    Quella cavalcata "ebbe un sapore particolare - continua Zoff - e noi ce ne rendemmo conto un po' per volta. Ancora oggi incontro persone che mi dicono 'del Mondiale dell'82 ricordo ogni istante, per quello del 2006 non è così'. Penso che fu la spettacolarità a rimanere impressa, il senso di rivincita di un intero Paese alle prese con una fase delicata della sua storia.
    Una scossa di orgoglio nazionale".
    E l'energia arrivava "da partite avvincenti, dopo la prima fase condite da tanti bei gol, tutti su azione. Il titolo del 2006 è altrettanto importante, ma fu vinto ai rigori, ad esempio. In Spagna ci fu il silenzio stampa iniziale, il crescendo della nostra forma, gli avversari sempre più difficili. Ogni volta ci davano per battuti e invece andavamo avanti". Insomma, "un crescendo rossiniano che diede vita a qualcosa di irripetibile nelle sue varie componenti di tensione". Una sceneggiatura con tanti colpi di scena, "il meglio che lo spettacolo del calcio poteva offrire. Ed i bei film non invecchiano mai". 
   

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