Protagonisti

Beppe Sala, , l'ex manager che piace ai milanesi

Pirelli, Tim e poi la sfida vinta Expo prima di diventare sindaco

Giuseppe Sala

Redazione Ansa

Un ex manager prestato alla politica: si presentava così, Giuseppe Sala, alle elezioni del 2016 quando divenne sindaco di Milano, forte del successo dell'Expo di cui era stato commissario unico e amministratore delegato. Ma a cinque anni di distanza si scopre che quello alla politica non era un semplice prestito ma qualcosa di più duraturo. Nato nel 1958 a Milano si è laureato (con lode) nel 1983 in Economia e Commercio all'Università Bocconi, la sua è la biografia di un milanese al 100%, che a Milano ha sempre vissuto, studiato, tifato (Inter) e lavorato. Entrato in Pirelli, per 19 anni è rimasto nella stessa azienda occupando ruoli diversi e sempre più importanti nel settore pneumatici fino a diventare nel 1998 amministratore delegato e nel 2001 senior vice president operations. Marco Tronchetti Provera, altro personaggio fondamentale per la sua carriera, lo ha portato nel 2002 in Telecom, dandogli subito il pesante incarico di Chief Financial Officer di Tim e poi di direttore generale Telecom Italia Wireline. Si è dimesso nel 2006 e per circa due anni ha lavorato nella multinazionale giapponese Nomura.

Poi il passaggio dal privato al pubblico: nel 2009 il sindaco di Milano Letizia Moratti lo ha nominato direttore generale del Comune. Ma l'incarico che lo ha reso più noto e che lo ha lanciato anche nel mondo della politica è stato quello all'esposizione universale. Dopo l'esperienza di Expo Giuseppe Sala, anzi Beppe, ha deciso di intraprendere la carriera politica e di candidarsi prima alle primarie del Pd, che ha vinto, e poi come sindaco di Milano alle elezioni del 2016 battendo al ballottaggio lo sfidante del centrodestra anche lui manager, Stefano Parisi. Dopo cinque anni alla guida di Milano il giorno di Sant'Ambrogio patrono della città, il 7 dicembre, ha annunciato la ricandidatura. La sua è stata una campagna elettorale nel segno dell'indipendenza dai partiti, con la quasi totale assenza dei big della politica nazionale, al contrario di quello che è avvenuto nel centrodestra, vissuta nei quartieri e senza comizi finali, dai "toni pacati", come ha sempre rivendicato. D'altronde lui, che ha aderito ai Verdi europei, ha rivendicato di non avere tessere di partito. Adesso, dopo la pandemia, punta al rilancio della città, con un peso, forte della riconferma al primo turno, sempre maggiore anche nella politica nazionale.

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