Politica

La maledizione delle commissioni bicamerali

Tante proposte e nessun risultato. Spunta il totonomi

Il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, al termine dell'incontro con le opposizioni sulle riforme

Redazione Ansa

   Nel corso della storia della Repubblica italiana in diverse occasioni partiti e governi hanno deciso di istituire commissioni bicamerali - formate per metà da senatori e per metà da deputati rispettando il principio di proporzionalità - per discutere di riforme costituzionali. Una via, questa, che in tutti i casi si è rivelata fallimentare.

    Tre sono le commissioni formate in materia di progettazione di riforme istituzionali nelle precedenti legislature. La prima fu la commissione Bozzi nel 1983, che prevedeva la revisione di 44 articoli afferenti vari ambiti della Costituzione. Il progetto fallì per il mancato accordo tra i gruppi politici. Nel 1993 fu la volta della bicamerale De Mita- Iotti, che proponeva la definizione di una forma di governo neoparlamentare. Il testo, però, non fu nemmeno esaminato a causa della conclusione anticipata della legislatura. La terza bicamerale fu invece istituita nel 1997 dopo l'ormai famoso "patto della crostata" suggellato a casa di Gianni Letta tra Massimo D'Alema e Silvio Berlusconi. La bicamerale aveva l'ambizione di riformare la seconda parte della Costituzione ma i lavori furono abbandonati per le divergenze politiche tra i partiti coinvolti.
   
   E se la bicamerale della Meloni è al momento solo una delle ipotesi, si comincia già a parlare in Transatlantico, alla Camera, di chi potrebbe diventarne il presidente. Tra i nomi circola quello del senatore Marcello Pera (Fdi), ex presidente del Senato, costituzionalista già in passato impegnato nella questione riforme e che ora presiede la Commissione per la biblioteca e per l'archivio storico. Il ruolo potrebbe altresì essere ricoperto - secondo i rumors - anche dal senatore Pier Ferdinando Casini, a lungo componente delle Commissioni Affari esteri e comunitari e Difesa ed ex Presidente della Camera. Emma Bonino, di Più Europa, è uno degli altri nomi di spicco in campo, data la sua esperienza e attenzione nell'ambito delle riforme e della difesa dei diritti.

   Anche Maria Elena Boschi (Iv) potrebbe essere tra le papabili - si commenta - considerando il ruolo da ministro per le riforme costituzionali assunto durante il governo Renzi. Per quanto riguarda il Pd,cominciano a circolare i nomi di Debora Serracchiani, che si occupa di Giustizia nella segreteria di Schlein, e Andrea Orlando, ex ministro del lavoro e delle politiche sociali nel governo Draghi. Passando al M5s, si parla - nei conciliaboli tra parlamentari - di Alfonso Colucci, già componente della commissione Affari costituzionali, e di Stefano Patuanelli, ex ministro dello sviluppo economico durante il governo Conte e delle politiche agricole con Mario Draghi. 

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