Politica

Conte guarda alle riforme ma il Pd spinge, rebus rimpasto

Giuseppe Conte

Redazione Ansa

Il sospiro di sollievo per il "3 a 3" alle Regionali, dalle parti di Palazzo Chigi, non è scevro d'ombre. La tornata elettorale, di fatto, rafforza doppiamente Giuseppe Conte, sostenitore convinto del Sì al referendum e promotore, finora invano, di un'alleanza organica Pd-M5s che, forse, avrebbe potuto cambiare le sorti in qualche Comune e nelle Marche. Ma per Conte si apre una nuova stagione da "mediatore".

Il Pd post-Regionali aumenterà la sua pressione lasciando da parte, probabilmente, la prudenza di questo primo anno di governo. Di certo i Dem vorranno battere cassa su argomenti chiave come i dl sicurezza o il Mes. Con un ulteriore nodo che potrebbe finire, magari non subito, sul tavolo di Palazzo Chigi, quello del rimpasto. Il premier, per ora, fa filtrare solo la sua "piena soddisfazione" per la regolarità delle votazioni nonostante l'emergenza Covid. E per il fatto che, anche nel tempo della pandemia, "gli italiani hanno dato prova di attaccamento alla democrazia". Conte passa il suo lunedì elettorale a Palazzo Chigi, lavorando su dossier sui quali, già nei prossimi giorni, il premier vuole dare un'accelerazione: il piano Cashless e le linee guida del Recovery Plan.

E nel pomeriggio, quando la vittoria del Sì e quelle in Toscana e Puglia sono ormai in cassaforte, telefona al segretario Nicola Zingaretti. L'agenda del governo, però, è destinata a cambiare sensibilmente. Il Pd tornerà alla carica sul Mes mentre già arriva la richiesta di accelerare sulle modifiche ai decreti sicurezza, tema scottante dalle parti di un M5s che, al di là della vittoria referendaria, torna a leccarsi le ferite dopo l'ennesima debacle sui territori. Un Movimento "balcanizzato" che si avvia agli Stati Generali, vero spartiacque per le future alleanze con il Pd. Su un punto l'ala governista (ormai arricchitasi anche della presenza di Luigi Di Maio), il capo del governo, e i Dem sembrano d'accordo: già nelle prossime settimane si dovrà lavorare ad alleanze non raffazzonate sulle Comunali 2021. Non sarà facile e tra il dire e il fare c'è di mezzo il congresso pentastellato e la mozione Alessandro Di Battista, contraria a qualsiasi tipo di apparentamento. Per il Movimento, tuttavia, il rischio è di finire schiacciato da un lato dalla poca chiarezza sul suo futuro e dall'altro dal pressing del Pd. Un Pd rafforzato nel governo, che rivendica di aver dimostrato nelle urne di non essere "subalterno" al M5S.

Il Nazareno, nel post-voto, "blinda" Nicola Zingaretti: perde forza, infatti, in questa fase, la sfida di Stefano Bonaccini, cui una parte della minoranza già lavorava. E si allontana, conseguentemente, anche il congresso. Nel Pd tutti dicono che Iv si è dimostrata irrilevante, anche se per i renziani la prima prova del voto è andata bene. E - sottolineano in Iv - nel governo non abbasseranno la voce.

Dal quartier generale Dem, poi, assicurano che tra le richieste di Zingaretti il rimpasto non c'è. Ma, fuori taccuino, tra gli esponenti Pd il tema circola eccome. Agli atti resta la richiesta di chi, come Andrea Orlando, alla vigilia del voto auspicava un "tagliando" al governo. "Molti di noi pensano che serva un rimpasto per rafforzare il governo", spiega un sottosegretario ed esponente Dem. Come si configurerebbe questo rimpasto è tutto da vedere. Nel Pd si esclude che Zingaretti voglia prendere il posto di Luciana Lamorgese al Viminale, anche perché la scelta di un tecnico all'Interno fu una decisione mirata dello stesso segretario.

Si tratterebbe, si ragiona tra i Dem, più che altro di sostituire le figure M5S più "deboli". Non sarà semplice, perché il passo tra un rimpasto e nuove consultazioni al Colle con successiva fiducia è breve. E Conte, finora, sul cambio di squadra si è mostrato più che prudente. E il Movimento? Attende che la richiesta venga formalizzata dal Pd. Un rimpasto, dalle parti dei pentastellati, non sarebbe il peggiore dei mali, soprattutto se servisse a sostituire uno o più esponenti "interni" sui quali crescono i mlaumori nei gruppi. Ma il rischio per Di Maio & Co è che, una volta mossa una casella, quella stessa casella vada al Pd.

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