Medio Oriente

L'Isis accerchiato a Mosul, 'al-Baghdadi è ancora lì'

Bambini usati come kamikaze. La gioia nei primi quartieri liberi

Redazione Ansa

Bambini kamikaze, tonnellate di esplosivo, dietro a ogni palo, ogni angolo, anche dentro i giocattoli. Centinaia di foreign fighter pronti al 'martirio' per Abu Bakr al Baghdadi, per la difesa estrema dell'ultimo bastione jihadista in Iraq. Poi resterà Raqqa, la ridotta siriana dell'autoproclamato Califfato, che dopo due anni è sotto un diluvio di bombe, accerchiato da migliaia di soldati iracheni, curdi, milizie fedeli all'Iran, alla Turchia, a ogni singolo Paese che in Iraq, come in Siria, gioca la sua partita da potenza regionale.

E' la battaglia finale per Mosul entrata nelle sue ultime fasi. Intrappolato in città, dicono i curdi, ci sarebbe ancora lui, il Califfo dell'Isis. "Se riusciamo a ucciderlo - ha annunciato oggi Fuad Hussein, braccio destro del presidente curdo Massoud Barzani - lo Stato islamico finirà". I soldati del Califfo sembrano avere le ore contate. I civili in festa nei primi quartieri orientali liberati sventolano bandiere bianche di fortuna e vanno incontro ai soldati gridando "Dio vi benedica, Daesh vada all'inferno". Il conto alla rovescia è partito nei comandi militari, a Washington, Baghdad, Erbil, Ankara, Teheran, i nemici giurati dello Stato islamico.

Solo la prudenza spinge i cronisti che hanno vissuto l'offensiva micidiale delle forze curdo-irachene su Mosul a non fare previsioni affrettate. Ma il tricolore iracheno che sventola nel cuore di Mosul sembra oramai solo questione di tempo. Si pensa già al dopo-Baghdadi. Chi gestirà Mosul. Che fine farà il nord Iraq, ricco di petrolio. Un esempio lampante è l'escalation, per ora solo verbale, tra Ankara e Baghdad. Il premier iracheno Haidar al Abadi ha minacciato la guerra se le truppe turche, che si ammassano al confine - a 100 km da Mosul - metteranno piede nel suo Paese. Ankara risponde ad alzo zero: se i militari iracheni sono così forti, come hanno potuto consentire all'Isis di dominare mezzo Paese e sterminare migliaia di innocenti a colpi di autobomba e attacchi suicidi? Sul campo, il ventaglio di forze è un caleidoscopio. La Golden Division di Baghdad dà battaglia lungo tutto l'asse del fronte est. Anche a nord avanza, affiancata da milizie spuntate come funghi nei 15 giorni dall'inizio della massiccia offensiva.

A ovest avanzano i miliziani Shaabi. In Occidente sono "gli sciiti", in Iran, dove sono stati fondati, finanziati, addestrati, sono i paramilitari spediti ad assicurare una zona d'influenza agli Ayatollah. Sì, ci sono le fazioni sciite, ma anche quelle cristiane, e così via, l'elenco delle divisioni per credo è infinito.

A qualche chilometro di distanza avanzano i soldati della milizia Watani: loro sono addestrati da Ankara, e rispondono al 'sultano', Recep Tayyp Erdogan, o almeno alle strutture militari di un Paese che cerca di spazzare via il ricordo del tentato golpe di qualche mese fa.

Tutti corrono, tutti avanzano. Lasciano indietro i villaggi e i jihadisti rimasti isolati. Tutti vogliono un pezzo di Baghdadi da portare a casa come un trofeo. E un pezzo di terra da poter rivendicare, già nei prossimi giorni. Baghdadi. E' morto, è vivo? Comanda ancora lui? E' veramente intrappolato a Mosul? Forse tenterà la fuga verso la Siria, a ovest, dove gli iracheni hanno preparato un 'corridoio della morte' per i jihadisti che scappano e sono pronti con i raid a tingere la sabbia di rosso sangue.

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