Europa

Muro Berlino, Karol Wojtyla il grande nemico

Nel '96 storico il suo passaggio sotto la Porta di Brandeburgo

Muro Berlino, Karol Wojtyla il grande nemico

Redazione Ansa

Gli storici considerano Giovanni Paolo II una delle cause principali, se non la principale, della sconfitta del comunismo in Europa. E in effetti quella contro la "tragica utopia" del marxismo è stata la grande battaglia di Karol Wojtyla. E simbolo di questa 'vittoria' è proprio la caduta del Muro di Berlino. Ma Papa Giovanni Paolo II si è sempre schermito: in un'intervista del 1993 disse che era stato il cristianesimo e non il Papa ad avere "un ruolo determinante" per la caduta di quel Muro. Allo stesso modo, più volte, aveva detto che dietro quell'evento non poteva non essere visto un intervento provvidenziale, divino. E quando compì 75 anni, nel '95, ringraziò Dio per essere vissuto "in un momento di svolta epocale per l'Europa, per il mondo e per la Chiesa".

E allora tra le immagini simbolo del lungo pontificato di san Giovanni Paolo II resta quella del 23 giugno 1996, con lui che passa sotto la porta di Brandeburgo. "La porta di Brandeburgo - affermò in quell'occasione - è stata occupata da due dittature tedesche. Ai dittatori nazionalsocialisti serviva da imponente scenario per le parate e le fiaccolate. E' stata murata dai tiranni comunisti. Poiché avevano paura della libertà gli ideologi trasformarono una porta in un muro".

Del ruolo di primo piano del Papa polacco nella battaglia contro il socialismo reale, che teneva un pezzo d'Europa dietro la cosiddetta 'cortina di ferro', i primi ad esserne convinti erano proprio i russi. "L'elezione del cardinale di Cracovia e la sua prima visita in Polonia nel 1979 sono state uno dei principali segnali per le forze controrivoluzionarie. L'agosto polacco (del 1980, dal quale nacque Solidarnosc, ndr) non sarebbe stato possibile se a Roma non ci fosse stato un papa polacco". Lo scrivono, l'11 luglio 1982, la Tass, le Izviestia e vari altri giornali sovietici, in un duro attacco a Papa e Chiesa polacchi, con l'autorevolezza che quindi deriva dalla necessaria approvazione del Cremlino.

Eppure Giovanni Paolo II non può essere definito un anticomunista viscerale. Al marxismo ha riconosciuto che "le esigenze dal quale aveva preso storicamente le mosse, erano reali e gravi", come disse a Riga nel 1993. "Io non dubito - aveva detto nel 1987 - delle buone intenzioni, però le buone intenzioni devono essere come in ogni atto umano ben sincronizzate con il bene oggettivo, con la oggettività, cioè con la verità". E invece "tutti coloro che questo sistema totalitario ha toccato in un modo o nell'altro - affermò il 10 gennaio 1992, parlando al Pontificio consiglio per la cultura - i suoi responsabili e i suoi partigiani come i suoi più irriducibili oppositori, sono divenute sue vittime".

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