Mondo

Israele oggi al voto per le elezioni legislative

Netanyahu cerca la rivincita, ultraortodossi e arabi le incognite

Redazione Ansa

Gli israeliani hanno iniziato a votare oggi per le quinte elezioni legislative in meno di quattro anni, che potrebbero segnare il ritorno al potere dell'ex primo ministro Benjamin Netanyahu. I seggi elettorali hanno aperto alle 7 (le 6 in Italia) in tutto il Paese e dovrebbero chiudere alle ore 22. 

I 6,7 milioni di elettori sono chiamati a esprimere in 12.500 seggi le loro scelte fra circa 40 liste, un terzo delle quali hanno probabilità di superare la soglia di ingresso alla Knesset. Alle 22 locali (le 21 in Italia) le reti televisive nazionali divulgheranno i rispettivi exit-poll, mentre gli ultimi sondaggi confermano un sostanziale equilibrio fra il blocco delle destre di Netanyahu e i suoi avversari guidati da Yair Lapid. I primi risultati reali saranno pubblicati nella nottata. Nel timore di attentati, i valichi con la Cisgiordania sono stati chiusi. In Israele 18 mila agenti vegliano sull'ordine pubblico.

Alle 10, secondo i dati del direttore del Comitato elettorale Orly Ades, hanno votato 1.760.076 persone, ovvero il 15,9% del totale. E' il più alto risultato - a quest'ora - dal 1981. Nelle ultime votazioni del marzo dell'anno scorso, l'affluenza era stata del 14,8%. Subito dopo la chiusura dei seggi arriveranno i primi exit poll.

Da Paese virtuoso in tema di stabilità, a partire dal 1996 lo Stato ebraico ha scalato la classifica e raggiunto la palma di primo al mondo dei Paesi con più elezioni: ogni 2 anni e 4 mesi, più che in Grecia, più che in Spagna. Sono passati i tempi in cui l'ex premier Benyamin Netanyahu richiamava all'ordine l'elettorato israeliano citando in negativo l'instabilità italiana. La ragione di questo prolungato stallo politico - a detta di tutti i sondaggi - è che nessuno dei due blocchi contrapposti, quello di Netanyahu e quello del centrista Yair Lapid, avrebbe i fatidici 61 seggi (su 120) che assicurano la maggioranza alla Knesset. Il fronte di Netanyahu è fermo a 60, il suo avversario tra i 56/57 al massimo. Il secondo motivo dello stallo è la progressiva scarsa affluenza dell'elettorato, stanco ormai di un Paese la cui situazione non si sblocca e, per di più, ulcerato dalla contrapposizione netta pro/contro Netanyahu, il più longevo premier della storia di Israele, ancora più del padre della patria David Ben Gurion. Nelle elezioni del marzo del 2021 (le quarte) il tasso di affluenza è stato del 67.4%, un dato che, se ripetuto, potrebbe riflettersi anche sull'efficacia dei principali exit poll, diffusi dalle 22 (le 21 in Italia) in poi.

Importante sarà monitorare la percentuale di voto degli arabi israeliani. Così come, sul fronte opposto, quello degli ebrei ortodossi. Le ultime indagini sugli arabi israeliani indicano un afflusso alle urne in risalita: a circa il 50%. In grado potenzialmente di far saltare i piani di Netanyahu e di quello che è l'indiscusso outsider di queste urne: il controverso - e contestato per il suo background ideologico - sionista religioso radicale Itamar Ben Gvir. Lui - e il suo sodale Bezalel Smotrich - sono accreditati di 14/15 seggi, preziosissimi per il blocco di destra di Netanyahu, ma pericolosi per la governabilità e non solo. L'estremismo di Ben Gvir - noto per voler annettere l'intera Cisgiordania senza concedere diritti ai palestinesi, rivedere le regole di ingaggio di soldati e polizia, ridimensionare i poteri della Corte Suprema e cancellare il processo a carico di Netanyahu - sembra aver risvegliato non solo l'elettorato arabo israeliano ma anche le preoccupazioni degli Usa e soprattutto dei 'nuovi amici' di Israele nel Golfo. Entrambi hanno avvisato Netanyahu delle possibili ricadute sugli Accordi di Abramo di un'eventuale inclusione nel governo della destra radicale. Ben Gvir ha tirato dritto ed ha chiesto all'ex premier, in cambio dei suoi seggi, il ministero della Sicurezza pubblica. Una richiesta sulla quale Netanyahu per ora ha glissato, senza esporsi troppo.

Lapid dal canto opposto si presenta all'elettorato con un forte richiamo alla 'normalità' che superi la divisività del nome Netanyahu, a suo giudizio impossibile aspirante premier a causa del processo aperto a Gerusalemme. Dalla sua Lapid ha il successo ottenuto con l'accordo sui confini marittimi e lo sfruttamento del gas con il Libano, benedetto dalla mediazione Usa. Ma anche un favore maggiore degli Stati Uniti e della Ue per la sua posizione favorevole alla soluzione a 2 Stati. Il suo fronte (che poggia su Benny Gantz, Avigdor Lieberman, Gideon Saar, la sinistra e il partito arabo islamista Raam) è tuttavia meno compatto di quello di Netanyahu, che conta sui tradizionali alleati come i partiti religiosi, la destra di Ayelet Shaked e il fenomeno Ben Gvir. Un rompicapo che - secondo i sondaggi - neppure queste elezioni sulla carta sembrano poter risolvere.

Leggi l'articolo completo su ANSA.it