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Gli armeni di Leopoli, 'Noi siamo con Kiev'

'Yerevan vicino a Mosca ma il popolo si sente tradito da Putin'

Leopoli

Redazione Ansa

Sono quasi tremila. Nessuno di loro, da quando è iniziata la guerra, ha lasciato il Paese. Sono gli armeni di Leopoli e, sin dal primo giorno, non hanno mai avuto un dubbio: "Essere al fianco dell'Ucraina". A spiegarlo in un intervista all'ANSA è Tigran Aryutinov, portavoce di una comunità che da secoli abita nella capitale dell'Ovest del Paese. "Un tempo qui c'erano cinque chiese e sei monasteri, ora ne è rimasta una, ma è bellissima", racconta Aryutinov, imprenditore edile di mestiere, volontario sin dall'inizio del conflitto per vocazione. "Ogni armeno sta dando una mano come può, ci sono i ristoratori che cucinano per gli sfollati e coloro che hanno deciso di arruolarsi".

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    L'Armenia, Paese considerato piuttosto vicino alla Russia soprattutto nel contesto della guerra del Nagorno-Karabakh, è rimasta in posizione abbastanza defilata dall'inizio della guerra. Ma Tigran fa una distinzione tra l'azione del governo e il volere del popolo. "La nostra politica guarda alla Russia da anni ma la popolazione no. Anzi, è contro l'influenza di Mosca e ci sentiamo traditi da Putin. Dall'inizio della guerra ci sono state già 12 manifestazioni di protesta a Yerevan", racconta il portavoce degli armeni di Leopoli. Gettando un'ombra sull'equilibrio, già molto fragile, tra il suo Paese e l'Azerbaigian. "Gli effetti della guerra in Ucraina sul Nagorno-Karabakh già sono cominciati. Il rischio è che in due-tre mesi l'Azerbaigian se lo riprenda".
    Anche perché, secondo Tigran, la guerra sarà molto lunga.
    "Il conflitto è appena cominciato", premette, spiegando di non essere stato per nulla sorpreso né dall'offensiva russa del 24 febbraio né dal mancato intervento della Nato. "L'Ucraina è il terreno di scontro tra Occidente e Mosca. Attraverso questa guerra il primo vuole indebolire la seconda", sottolinea. Del resto - aggiunge - "chi ha vissuto il 2014 sapeva benissimo che prima o poi questo momento sarebbe arrivato". Più scontato, forse, il suo scetticismo per il ruolo della Turchia nei negoziati. "Ma non c'entra la questione del genocidio, non è stato certo Recep Erdogan a perpetrarlo. Il tema è che io di lui non mi fido. Erdogan è solo amico di se stesso e non ha mai giocato pulito", spiega Aryutinov. Il suo tono, tuttavia, trasuda solo realismo. "Qui siamo consapevoli che il conflitto durerà, è il momento di dare una mano. D'altra parte in questa città tutte le religioni hanno sempre convissuto nella maniera più pacifica". 
   

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