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Il caso 'LuxLeaks', la maxi elusione in Lussemburgo

Coinvolte 300 aziende mondiali, 31 sono italiane

LUXLEAKS: PPE DIFENDE JUNCKER E PADOAN GETTA ACQUA SU FUOCO

Redazione Ansa

      "Accordi segreti tra le autorità del Lussemburgo e trecento aziende in tutto il mondo, tra cui 31 in Italia, per spostare flussi finanziari enormi pagando tasse minime". E' questo, in estrema sintesi, 'LuxLeaks', lo scandalo emerso da un'inchiesta giornalistica internazionale, pubblicata in 31 Paesi, che sta imbarazzando il neo presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, e con lui tante multinazionali, tra cui giganti come Amazon, Ikea, Deutsche Bank Procter & Gamble, Pepsi e Gazprom.
    Nei dossier anche 31 società italiane, tra cui banche come Intesa San Paolo, Unicredit, Marche e Sella o aziende di Stato come Finmeccanica.
    Spulciando le 28mila pagine di documenti riservati, i cronisti del International Consortium of Investigative Journalism (ICIJ) hanno offerto un quadro inquietante dei rapporti tra enormi multinazionali e le autorità del Granducato.
    Preoccupanti soprattutto perché non v'é traccia di alcun reato.
    Si tratta, come sintetizza 'L'Espresso', che ha avuto l'esclusiva per l'Italia, di "un'emorragia di fondi, perfettamente legale, che sottrae risorse dall'economia del resto dell'Ue".
    Malgrado l'imbarazzo, la Commissione parla di un "tipico caso di aiuti di Stato". La nuova Commissaria per la Concorrenza, Margrethe Vestager, spiega il portavoce di Juncker, "sta continuando il lavoro cominciato dal suo predecessore Almunia".
    E in effetti sono già quattro, e non solo in Lussemburgo, le inchieste aperte dalla Commissione sui 'tax ruling', i trattamenti fiscali predefiniti, applicati in modo non conforme alle norme sugli aiuti di Stato. L'ex commissario alla concorrenza Joaquin Almunia nei mesi scorsi aveva infatti già aperto due indagini sul Lussemburgo, una relativa ad Amazon e l'altra a Fiat Finance and Trade, una sull'Olanda per Starbucks, e una sull'Irlanda riguardante Apple. Nessuno discute infatti la pratica del tax ruling in sé, cioè uno "sforzo che gli Stati membri fanno per attirare gli investimenti delle imprese" - per esempio i tedeschi per l'automobile e i francesi per l'audiovisivo - ma se questi vengono usati in modo anticoncorrenziale, dando un vantaggio a un'azienda rispetto alle altre.
   

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