Economia

Pressing su ArcelorMittal ma molti indicano la Cdp per 'Piano B'

Per Cassa margini limitati. Identikit difficile per nuovi partner

Foto d'archivio

Redazione Ansa

Mentre alcuni esponenti del Governo e della maggioranza restano fermi sull'idea che sia ArcelorMittal a proseguire il risanamento e lo sviluppo dell'ex Ilva, non sono pochi coloro che davanti all'intransigenza del colosso franco-indiano iniziano ventilare la necessità di un piano B per Taranto.

Un intervento che nelle diverse possibilità di realizzazione, dalla nazionalizzazione all'apertura di una nuova gara dopo il ritorno del timone nelle mani dei commissari, dallo split tra attività produttive da affidare parte all'attuale gestione e parte allo Stato, mostra parecchi ostacoli.

Primo, non appaiono molti investitori privati alternativi: Jindal a suo tempo interessata ha detto di concentrarsi adesso sulle attività a Piombino, eventuali player cinesi, i più affamati di acciaio per lo sviluppo galoppante dell'economia.

Ipotizzando un passaggio o una permanenza nel pubblico in molti sono in pressing su Cdp per un ruolo nel progetto. Al momento non c'è nulla di concreto e i limiti naturali contenuti nello statuto lo fanno sembrare improbabile senza almeno l'individuazione di un partner industriale.

Appare quindi ancora tutto ed esclusivamente politico il pressing per un intervento da 'cavaliere bianco' di Cdp in una sorta di 'piano B' dopo il passo indietro di ArcelorMittal. A quanto trapela, non ci sarebbe stato finora alcun confronto tra Governo e Cassa.

Se ci sono stati contatti, sul nodo del futuro dell'acciaio in Italia e sul terreno minato del futuro dell'acciaieria di Taranto, tutto sembra restare confinato in un ambito strettamente riservato e informale.

Che si accendano i fari su Cdp, anche per la potenza di investimento che ha come 'cassaforte' pubblica, è un copione che si ripete di frequente quando una emergenza industriale finisce sul tavolo del Governo.

Per ogni eventuale ruolo della Cassa, tuttavia, resta da superare l'ostacolo dell'articolo tre dello statuto che sbarra la strada a investimenti di 'salvataggio', vieta di intervenire con una iniezione di capitale in aziende che non abbiano una "stabile situazione di equilibrio finanziario, patrimoniale ed economico" e "adeguate prospettive di redditività".

E' un baluardo che è stato sempre strenuamente difeso (a partire, per esempio, da tutte le volte in cui Cdp è stata chiamata nel dibattito politico in soccorso di Alitalia) dalla Fondazioni di origine bancaria (secondo azionista della Cassa con il portafoglio il 15,93% del capitale. Il Tesoro ha l'82,77%). A complicare le cose c'è poi il quadro deteriorato del mercato che rende ancora più fragile la sostenibilità industriale del'ex Ilva; ed è difficile da delineare il quadro giuridico in cui ci si dovrà muovere, tra una procedura di gara chiusa con una formale aggiudicazione e la querelle che si apre sul diritto di recesso per ArcelorMittal.
   

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