Economia

Istat: Pil Italia non cresce più dal 2011

Nuovo Pil, primo trimestre piatto, è stagnazione

Redazione Ansa

Il Pil dell'Italia è sceso a un livello che ci riporta all'inizio del Duemila, mentre il deficit di metà anno sale al 3,8%. Il restyling dei conti nazionali cancella così anche l'unico segno più degli ultimi tempi. Confermato il calo dello 0,2% del secondo trimestre, la crescita risulta 'latitante' dal 2011, con un'altalena di cali e variazioni zero che rappresenta un rompicapo per chi si volesse cimentare nelle diverse definizioni di recessione o stagnazione. Quel che resta certo è l'impatto della crisi su famiglie e imprese: il potere d'acquisto torna a calare, nonostante l'inflazione sia scomparsa di scena, mentre i profitti delle aziende sono ai minimi storici. Ma c'è qualche nota positiva nella raffica di dati diffusi dall'Istat: i consumi ripartono e, soprattutto, scende la pressione fiscale, che si ferma al 40,7%.

Le serie trimestrali del Prodotto interno lordo hanno così subito aggiustamenti non trascurabili nel passaggio al nuovo sistema dei conti, allineato ai parametri europei. Tra le novità anche l'inserimento, molto discusso, di alcune attività illegali. I dati aggiornati dell'Istat, che ha così completato il reset, fanno sorgere il dubbio se davvero l'Italia sia mai uscita dalla recessione (per poi prontamente rientrarci). Viene infatti meno quel dato positivo, registrato nel quarto trimestre dello scorso anno: un timido +0,1%, ora trasformato in -0,1%, che aveva rappresentato un avamposto della ripresa, sebbene rimasto isolato. D'altra parte il valore del Pil trimestrale scende a 385,6 miliardi di euro, il livello più basso da oltre quattordici anni. Peggiora inoltre il confronto annuo e la crescita acquisita per quest'anno lascia il posto a un'eredità con debito (si parte da un -0,3%).

Se cambia il Prodotto interno lordo non possono restare immutate le misure che ne discendono, a cominciare dal peso del fisco che a metà anno risulta in ribasso di 0,5 punti su base annua, un abbassamento dovuto ai primi tre mesi del 2014, beneficiari di un confronto annuo favorevole (a proposito l'Istat parla di riflessi della manovra 2012 e dell'eco di modifiche sulla tassazione delle rendite finanziarie). Ma nel secondo trimestre la pressione si è riportata al 43,2%, pressoché stabile su base annua. Quanto al deficit, si parte in salita: a metà anno siamo al 3,8% (era al 3,5% lo scorso anno). Ma ci sono ancora due trimestri per tornare sotto la soglia del 3%, come previsto per evitare le sanzioni Ue. Fin qui i bilanci dello Stato, passando alle famiglie la musica non cambia: il potere d'acquisto torna a calare (-1,5%). Il congelamento dei prezzi, ora siamo in deflazione, non ha quindi dato gli unici effetti positivi che poteva produrre.

Gli italiani però sembrano avere deciso di non aspettare: magari spinti da un fisco un po' più leggero, hanno ricominciato a spendere, con i consumi in crescita dello 0,5% nei primi sei mesi. Ma la Confcommercio avverte: "è solo un primo segnale". Per le imprese la situazione appare più difficile: le aziende vedono la loro quota di profitti scivolare al valore più basso almeno dal 1999. E altrettanto vale per gli investimenti, additati da Nomisma come la vera causa della crisi.

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