Cultura

L'ironia di Auster per Baumgartner

Un anziano professore torna a vivere grazie a conti col suo passato

Redazione Ansa

PAUL AUSTER, ''BAUMGARTNER'' (EINAUDI, pp. 156 - 17,50 euro - Traduzione di Cristiana Mennella).

''Vivere è provare dolore, si era detto Baumgartner, e vivere con la paura del dolore significa non voler vivere''. E' il momento della presa di coscienza per il protagonista, un settantenne professore a Princeton di questo ultimo, intenso, delicato, impietoso e ironico romanzo di Paul Auster, che, detto per inciso, lo ha scritto in ospedale, curandosi per un cancro, ma sarebbe direi scorretto e limitativo leggerlo con questa chiave.
    Baumgatner, non a caso docente di filosofia, è entrato in una sorta di tunnel da quando, dieci anni prima, è morta annegata Anna, l'amata moglie, traduttrice e poetessa poco conosciuta, che si ostinò a voler fare un tuffo in un giorno di agosto di mare molto agitato a Cape Cod. Vive così senza riuscire a liberarsi di lei, impigliato persino tra la sua biancheria intima che mantiene paradossalmente in ordine, molto ritirato in casa e forse invaghito di Molly, giovane fattorina dell'Ups che gli consegna gli ordini fatti on line, i libri che oramai compra solo per vederla e scambiare due veloci chiacchere sulla porta.
    Come una condanna, passa tutto il tempo a scrivere, ha appena finito un saggio su Kierkegaard, il filosofo danese dalla sua inflessibile estetica e etica esistenziale (e si scoprirà poi come si possa legare al quel profondo senso del dovere e religiosi interrogativi sull'esistenza che ha segnato la vita dell'autore), ed è vittima, per una sorta di inconscio autolesionismo, di continue dimenticanze e incidenti domestici.
    Proprio un giorno in cui la situazione sembra farsi critica, e si va dal farsi molto male cadendo per le scale della cantina, che non ha più voglia di riparare, al lasciar bruciare del tutto un pentolino sul fuoco (l'unico oggetto casalingo di Anna ancora in uso, dopo averli voluti cambiare tutti, dal letto ai mobili del salotto, dalle lenzuola alle posate e stoviglie) si rende appunto conto dei suoi due stati d'animo, feticismo e cancellazione, contraddittori, dolorosi e reciprocamente distruttivi.
    Due mesi dopo è allora alle prese con un nuovo libro sulla sindrome dell'arto fantasma, quella per cui chi è rimasto senza un braccio o una gamba le sente ancora come ci fossero e come una mano o un piede gli facessero male, che legge come metafora del dolore per una mancanza, un'assenza, un lutto. Così pian piano riprende a uscire, decide di andare in pensione, riaprire i lavori e manoscritti di Anna, cominciando da suoi scritti autobiografici (di cui ci vengono proposte - in un carattere tipografico più piccolo - alcune pagine sul loro innamoramento) e le sue poesie inedite, ha anche una storia con una amica di Anna e collega di università, Judith Feuer, che poi lo lascerà per un uomo più giovane, batosta che però è oramai capace di reggere.
    Riesce anche a fare i conti col proprio passato, rievocando la famiglia, quella da parte della madre, una Auster, e quella del padre, la cui morte improvvisa lo aveva costretto a rinunciare alle sue aspirazioni intellettuali per occuparsi del negozio che dava a tutti da vivere, e riemerge anche il ricordo del viaggio in Ucraina e la visita al villaggio natale paterno dove gli vengono raccontati fatti che sono tra leggenda e realtà, e che metterà in ordine in uno scritto intitolato I lupi di Stanislav (proposto per intero, sempre in carattere più piccolo). Porta a termine un altro libro, Misteri del volante, dal taglio ironico che non sa se verrà mai colto su ''l'auto in quanto persona e la persona in quanto auto, l'una intercambiabile con l'altra attraverso un discorso tortuoso, satirico e peseudofilosofico''.
    Un romanzo in cui, per percorsi personali e spesso naturalmente non lineari, tra presente e passato, il protagonista fa i conti con un umanissimo sentire, tra vita e memoria, col problema dell'assenza quanto con la sua decadenza e invecchiare, tra malinconia vitale e impietosa ironia (come nelle pagine sulla patta dei pantaloni dimenticata aperta).

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