Cultura

Timm alla scoperta del fratello SS

Libro sentimentale e lucido che indaga sul passato del suo paese

Redazione Ansa

UWE TIMM, 'COME MIO FRATELLO' (SELLERIO, pp. 218 - 14,00 euro - Traduzione di Margherita Carbonaro). Uwe Timm è uno dei più interessanti autori tedeschi di oggi. L'immediato dopoguerra indagato e ricostruito dai suoi romanzi è cerniera per capire la Germania di oggi attraverso quella di ieri, con belle invenzioni e senza infingimenti, dal più impegnativo ''Un mondo migliore'' al godibilissimo ''La scoperta del Currywurst''.
    Per capire da dove arriva questa vena ecco ristampato, a 20 anni dalla prima edizione Mondadori, ''Come mio fratello'', scritto nel 2003, dopo tanti libri per ragazzi e volumi di poesie, in cui non romanza più, ma indaga il suo passato famigliare, cercando di scoprire qualcosa di suo fratello, morto sul fronte orientale, durante l'ultima guerra, quando lui era un bambino piccolo, essendo nato nel 1940.
    E' un percorso doloroso quello di Timm, una faticosa, straziante e impietosa presa di coscienza che lo riguarda personalmente, come riguarda la storia tragica e recente di tutta la Germania, il rapporto di normali cittadini borghesi col nazismo. ''Da quando lavoro a questo libro.... da quando giorno dopo giorno leggo dell'orrore, dell'inconcepibile, mi fanno male gli occhi.... Non sono particolarmente sensibile al dolore, ma questo dolore non mi lascia dormire.... io che appartengo a una generazione alla quale era stato proibito piangere, io piango, come dovessi piangere tutte le lacrime soffocate, piangere anche per l'ignorare di mia madre, di mio padre, di mio fratello, per quel che avrebbero potuto, dovuto sapere.... Non hanno saputo perché' non volevano sapere, perché hanno allontanato lo sguardo''.
    Il fratello, Kurdel, si scopre infatti che si era arruolato volontario nelle SS e solo dopo la morte della madre lo scrittore riesce a andare a rileggerne le lettere, a ricostruirne la memoria e la storia, fatta di violenza e appunto di sguardo che passa oltre. ''E nulla, questa e' la terribile conclusione, non l'educazione e la cultura, non la cosiddetta vita spirituale ha impedito ai carnefici di compiere le loro atrocita'''.
    Timm ricostruisce il suo rapporto con Kurdel bambino, la sua educazione e il mondo ideologico, l'insensibilità. Ricorda e riflette (letta una nota su una sua lettera) sul suo sparare a un russo coetaneo che vede in lontananza fumarsi in pace una sigaretta, ne annota le omissioni e i silenzi (''non scrive mai, da nessuna parte, che venivano fatti dei prigionieri'', non si parla dello sterminio di oltre 33 mila ebrei a Babij Jari) e arriva a chiedersi che avrebbe fatto Kurdel se fosse stato assegnato al corpo di guardia di Auschwitz o Dachau. E lo fa riportando nel testo l'ordine del 10 ottobre 1941 del feldmaresciallo von Richenau: ''Il soldato nei territori orientali non è solo un combattente, ma è anche il depositario di una concezione inesorabile della razza e del popolo, un vendicatore di tutta la brutalità inflitta alla stirpe tedesca.
    Per questo il soldato deve comprendere appieno la necessita' della dura, ma giusta espiazione imposta all'inferiore razza ebraica''.
    Per lo scrittore poi ancora più forte è la ricostruzione del rapporto col padre (''Il tentativo di riscontrare momenti di grande vicinanza attraverso la memoria, riesce unicamente se mi raffiguro situazioni in cui noi due soli abbiamo fatto qualcosa assieme'') che si scontra con l'atteggiamento che questi ebbe durante la guerra e dopo, quando cercava di relativizzare la colpa tedesca (perché gli alleati non bombardarono i lager, visto che sapevano?) e giustificava i comportamenti con l'assolutorio obbligo di eseguire gli ordini. E poi aggiunge annotazioni, per esempio, su uno zio SS, ex guardiano del lager di Neuengamme, che era stato fatto prigioniero: ''miricordo il suo lamentarsi del fatto che gli americani trattassero male i prigionieri''.
    Un libro, un autore, un uomo che ormai ha deciso di non arretrare davanti a nulla, per capire se stesso, ma anche il mondo in cui vive, quindi accetta per esempio un invito a un convegno a Kiev quasi solo per poter cogliere l'occasione di recarsi sui luoghi dell'Ucraina in cui morì e combatté il fratello. Un racconto lucido, dietro il quale si sente il tremare della mano che scrive, ma che ha acquistato una trasparenza e solidità essenziale adamantina, senza divagare, senza fronzoli o parole in più, per mettere in luce i particolari come guardandoli sotto una lente, nudi nella loro forza intrinseca e rivelatrice. E ogni commento gli apparirebbe volgare, prima che superfluo, tranne una notazione essenziale, che è anche un monito: una ''affermazione continuamente ripetuta perciò viene giustificata: non lo sapevamo. In realtà non si voleva vedere, si era distolto lo sguardo''. (ANSA).
   

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