Cultura

Valeria Parrella, la Fortuna di Lucio

Pompei, coraggio di attraversare il buio per ritrovare se stessi

Redazione Ansa

(di Paolo Petroni) (ANSA) - ROMA, 30 GIU - VALERIA PARRELLA, ''LA FORTUNA'' (FELTRINELLI, pp. 142 - 16,00 euro). ''Siamo entrati nella notte, nel nero, nel buio. Mi sono sentito eccitato: quando rischi tutto sei libero'', dice Lucio, io narrante di questo lungo racconto di Valeria Parrella, che sta portando la Fortuna, la nave di cui è al comando, dentro la nube calata sin sul mare davanti Pompei durante l'eruzione del Vesuvio. Spera di riuscire a imbarcare gente che chiede aiuto ammassata al porto e soprattutto prelevare da casa sua la madre e la sua vecchia balia.
    E' un vero e proprio attraversamento del giorno che si è fatto notte scura, sino a uscire dall'altra parte, davanti allo scoglio di Ercole, col mare e la costa che si sono innalzati e l'acqua diventata densa in cui è difficile immergere il remo e così' l'aria, affrontata tenendo bende umide su naso e bocca. Ed è in questo ambiente infernale che il vecchio Plinio, ammiraglio che cede il comando di tutta la flotta al giovane Lucio, decide di scendere a terra e andare a vedere da vicino cosa sta accadendo. Il suo corpo sarà ritrovato poi a terra con in mano i taccuini dei suoi appunti, soddisfatto il bisogno di sapere, di capire. A suo tempo Lucio gli aveva chiesto cosa avesse studiato per diventare ammiraglio: ''No, io ho studiato solo per sapere le cose'' - ''E perché sei diventato ammiraglio?'' - ''Perché sapevo le cose''.
    E' in questo desiderio di sapere e nel coraggio nell'attraversare il buio, con pietruzze infiammate che piovono bruciando il collo e il viso, che è il senso e la metafora di questo breve romanzo in costume, di Lucio che da bambino, sempre con l'idea di diventare marinaio e comandante di nave, diventa uomo, passata la nube nera, superato con perizia il maremoto, vinta la paura, per scoprire che tutto è sparito, distrutto.
    ''Le persone hanno un'idea vaga della catastrofe, finché non se la trovano davanti'' e retorica, di eroi dalle parole alate, ''invece nella catastrofe non è possibile alcuna postura, alcuna grandezza. E' eroe chi sopravvive a quel momento, chi lo conserva e continua a vivere. Farsi custodi del mondo di prima è già abbastanza per una vita mortale''. Solo così si riuscirà a ritrovare se stessi, a capire quali sono le cose che contano, i sentimenti veri con le persone e il rapporto col mondo e la natura. Passati tre giorni terribili, trovandosi in mezzo alla ''lotta tra gli dei e gli uomini'', ci si scopre ''custodi del tempo, che lo cerchiamo nella sabbia della clessidra... Senza gli uomini il tempo non esiste, invece noi non esistiamo che nel tempo''. E allora, tra le tre parche che tessono il filo della nostra vita, è quella di mezzo a interessare chi non vuole abbandonarsi al destino e cerca di prendere in mano il proprio, come un giorno prederà in mano il comando della ''Fortuna''.
    Lucio è un giovane romano di buona famiglia, un adolescente pieno di vita e curiosità, forte dell'ambizione di chi pensa che il mondo dipenda da lui e da come lo affronta e organizza, tra le dolcezze delle terme e un amore per l'efebico figlio di un oste come tra la ferocia delle lotte di gladiatori o la crudeltà di certe punizioni, riuscendo a reagire a un limite, non considerandolo tale, anzi un'occasione, come accade a lui, quasi cieco da un occhio storto.
    C'è così la vita quotidiana nella Pompei di allora, quella di un adolescente gli studi a Roma alla scuola di retorica di Quintiliano dove a valutarli arriva il poeta Marziale, e questo ordine fatto di equilibrio, ambizione, doveri e piaceri, proprio quando sembra le cose vadano per il meglio, i desideri si possano avverare, l'imponderabile, la furia della natura cambia tutto e ti lascia disfatto, solo, senza nemmeno un corpo su cui piangere. E tutto vive nella grande, apparentemente naturale misura della scrittura della Parrella e la costruzione della vicenda, senza retorica, asciutta, raccontata nei fatti, sapendo che ''noi siamo esattamente la nostra sorte - come Plinio spiega a Lucio - e non è che ce la possiamo togliere di dosso quando non ci sta più bene come la maschera alla fine della tragedia.
    Nella vita il teatro è sempre aperto''. (ANSA).
   

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