Cultura

Nadia Terranova, un terremoto salvifico

due giovani vite drammatiche travolte da un cataclisma salvifico

Redazione Ansa

NADIA TERRANOVA ''TREMA LA NOTTE'' (EINAUDI, pp. 168 - 16,50 euro). Una vita, anzi due giovani vite di dannazione, prigioniere di un destino segnato e dal fondo ambivalente, perché voluto dalle persone cui si è più legati e che, assieme, qui si arriva a odiare nella difficoltà di immaginare una liberazione: ''C'è qualcosa che è più forte del dolore e è l'abitudine''.
    Siamo tra Scilla e Cariddi. Da una parte, a Messina, Barbara ''nata col muro di un'altra costa a bloccarmi lo sguardo'', e dall'altra, a Reggio Calabria, Nicola, i cui destini finiranno per incrociarsi e segnarsi reciprocamente. La prima, orfana di madre, si trova nelle mani, non malvage ma legate alla tradizione e di poca cultura, di un padre il cui amore per lei riesce solo a pensare a un matrimonio combinato che la veda moglie e madre, incapace di sentire e comprendere un suo rifiuto, che lei cerca anche di fargli arrivare dandogli un libro in cui si racconta una storia simile alla sua, ma il padre non raccoglierà nemmeno da terra dove lo lascia cadere. Il secondo, undicenne, vittima dell'amore estremamente disturbato e possessivo di una madre follemente iperprotettiva, sino all'estremo di legarlo di notte al letto in uno scantinato perché il diavolo non possa impossessarsi di lui, mentre il padre assente si occupa solo del proprio lavoro e ruolo sociale.
    Restano solo pensieri di ribellione e libertà che coincidono con una fine. ''Sperai che il lampadario di cristallo del salone crollasse, che ogni mobile antico finisse in polvere, che di chi eravamo stati non restasse traccia'' è uno di questi pensieri di Barbara, tornata a casa della nonna con cui è stata a una recita dell' Aida al Teatro dell'Opera. Il fatto è che questo desiderio quella notte del 28 dicembre 1908 per molti versi si avvererà.
    E' infatti la data del devastante terremoto, uno dei più gravi della storia europea, che raderà al suolo Messina come Reggio: ''Ogni cosa amata e odiata disparve'' alle cinque e ventuno ''i vivi non esistevano più. Solo i morti e i morti viventi''.
    Restano solo calcinacci, balaustre penzolanti, crolli continui e nuvole di fumo, puzza di cadaveri, rosseggiare di incendi, ricerca di chi può essere rimasto sepolto, magari usando una qualche indovina rabdomante come Madame. Macerie ovunque tra cui districarsi e trovare come e dove mettersi in salvo, sia per Barbara che per Nicola, rimasti soli. Una tragedia che azzera tutto il passato sino a quel giorno e che permetterà ai due, in modi diversi e ognuno per conto suo, di costruirsi una vita magari non ideale o facile, ma certo più indipendente e che aspira a un'idea di amore diverso da quello coercitivo che li aveva segnati e che continuò a segnarli nei giorni del disastro. Scampati, troveranno rifugio e assistenza a bordo della torpediniera Morgana, dove i due ragazzi si troveranno uniti e segnati da un'ultima, estrema, tragica violenza che tocca la giovane donna, di cui, non visto, il bambino è testimone. Poi la lenta rinascita, per Barbara grazie a un gruppo solidale di donne nel villaggio di baracche donate dalla Regina Elena ai terremotati.
    Un racconto dalla base realistica eppure con i suoi momenti visionari e giocato su una scansione dal valore simbolico, segnata, capitolo per capitolo, dagli arcani maggiori dei tarocchi, sino a una sorta di morale finale con l'autrice ai nostri giorni. Ecco così, per esempio, l'arcano ''La Forza'', in cui ''la vergine doma il leone e ci invita a abbandonare il livello della 'quantità', poiché la Vergine è senza dubbio più debole del leone per quanto riguarda la quantità di forza fisica, e ad elevarci al livello della 'qualità', poiché evidentemente lì si trova la superiorità della Vergine'', per il capitolo in cui il nuovo suo destino si svela a Barbara.
    Un romanzo curioso, particolare quindi che, per parlarci del nostro destino e in particolare di quello delle donne nel Novecento, ha trovato un momento esemplare e assoluto, quasi mitico, e lo racconta con una lingua ricercata, con echi dell'epoca, ma che si scioglie poi naturalmente nel racconto di Barbara e della sua crescita. (ANSA).
   

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