Cultura

Giulio Cesare, prima vittima delle fake news?

Ritrovamento di una tavola a Priverno riapre dibattito su morte

Redazione Ansa

ORAZIO LICANDRO: 'CESARE DEVE MORIRE. L'ENIGMA DELLE IDI DI MARZO' (Baldini+Castoldi, Milano 2022, euro 20.00, pagine 352).
    L'assassinio di Giulio Cesare, evento cardinale nella storia della repubblica romana, è stato studiato e analizzato per secoli. La storiografia moderna sembra concordare sul fatto che i tre cesaricidi abbiano agito per impedire il disegno del generale di instaurare la monarchia a Roma attraverso la dittatura a vita, uno strumento assolutamente inedito e che minacciava di sconvolgere l'ordine istituzionale e sociale costituito. Tuttavia, il recente ritrovamento di una tavola di marmo, i Fasti di Privernum, su cui è inciso l'elenco delle liste magistratuali degli anni 45-44 a.C. in cui maturò e si realizzò la congiura, riapre la discussione: facendo pensare che sia stato vittima di una 'fake news'.
    Cesare era infatti stato già nominato dictator perpetuus, ma egli non era un uomo solo al potere accanto a lui vi era Lepido magister equitum perpetuus. Questa secca notizia svela che l'aggettivo perpetuus non significava "a vita" e fa cadere l'accusa mossa nei suoi confronti di aver voluto introdurre una monarchia di stampo ellenistico. Ma se Cesare non voleva farsi re, allora cosa cercavano di impedire Gaio Cassio, Marco e Decimo Bruto? Quale fu il vero movente dei cospiratori? Quale fu il vero ruolo di Antonio? E davvero Cicerone fu il mandante morale dell'omicidio? Attraverso un'analisi attenta e dettagliata delle fonti antiche e della storiografia moderna, Orazio Licandro, Ordinario di Diritto romano all'Università di Catania ed ex parlamentare, rilegge l'intera vicenda e, scandagliando i fondali oscuri della lotta politica, presta ascolto a un altro grande condottiero, sorta di alter ego di Cesare, ovvero Napoleone. Anche 'l'Empereur', infatti, sospettava che ci fosse un'altra ragione dietro l'omicidio di un uomo che, col suo potere e la sua geniale irruenza, avrebbe potuto cambiare il corso della Storia.
    La sua azione militare, del resto, dopo la conquista esemplare della Gallia, era orientata verso Oriente. Da almeno due anni (46 a.C.) aveva concepito e preparato la più gigantesca missione militare mai vista a Roma. Cesare era un autentico Romano e vedeva la soluzione alla crisi della res publica nell'espansionismo: nuove terre, nuove ricchezze, Roma sempre più grande. La sua missione non voleva ripercorrere le orme di un idolo del passato, Alessandro Magno, ma superarle. Cesare mirava forse a conquistare un vasto impero che comprendesse tutte le terre emerse dalla Britannia all'India. Temevano i cesaricidi che tornasse in patria in trionfo, accolto dalla folla come un nuovo sovrano di stampo ellenistico? Partendo da queste domande, e alla luce dei nuovi ritrovamenti e delle nuove scoperte in campo epigrafico, questo saggio ci offre una rilettura approfondita e innovativa di uno dei più interessanti enigmi dell'antichità, una di quelle vicende sulle quali la Storia e la storiografia non smettono mai di interrogarsi.

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