Cultura

Epifanie di Joyce, ovvero del folgorante inizio

Prezioso volume di racconti illustrato da Vittorio Giacopini

Redazione Ansa

JAMES JOYCE, 'EPIFANIE'. (RACCONTI EDIZIONI, PAG. 250, EURO 23,00) - ''Fievole, sotto l'opprimente notte estiva, attraverso il silenzio della città passata dai sogni a un sonno senza sogni come un amante spossato che nessuna carezza riesca a smuovere, il suono degli zoccoli sulla strada di Dublino''. In principio per James Joyce furono le ''Epifanie'' ovvero ''ostie di realtà transustanziata. Frammenti di mondo catturati da uno sguardo che si spegne, diventa cieco'', scrive Vittorio Giacopini nella postfazione al volume che le raccoglie per Racconti edizioni, impreziosito proprio dai suoi bellissimi disegni.
    Sono rarità, perle scritte da un giovane Joyce in un arco di tempo che va dal 1900 al 1904, quindi quando lo scrittore aveva tra i 18 e i 22 anni, anni fondamenti per la sua formazione che vanno dagli studi al College di Dublino fino alla prima stesura di quello che diventerà Un ritratto dell'artista da giovane, chiamato a lungo Dedalus.
    ''Siamo a ridosso dell'Epifania, nel 1904, e il ventiduenne scrittore irlandese è alle prese con la composizione di un articolo che vorrebbe far pubblicare in una rivista di Dublino chiamata Dana. L'articolo era intitolato 'Un ritratto dell'artista', e come per tutte le opere di Joyce aveva al centro se stesso. Era quel pezzo un modo di scandagliare la sua stessa anima. Per manifestarla. Per epifanizzarla'', ci spiega Enrico Terrinoni nel saggio introduttivo al volume. Ma l'articolo fu rifiutato perché giudicato troppo oscuro.
    Di fatto queste bellissime Epifanie - tradotte e introdotte da Carlo Avolio - sono una sorta di concentrato in pillole della forma e della sostanza dell'opera dello scrittore di Ulisse. Si tratta di quaranta brani in prosa, discorsi diretti o frammenti, in cui esplode una situazione colta come sempre passando in corsa nella vita, in strada, nelle case, nel cuore dei suoi personaggi. ''Avrebbero dovuto essere, per Joyce, una nuova rivoluzionaria forma d'arte, sono il germe principale della sua scrittura successiva", sottolinea lo stesso Avolio, ''legatissimi a tutte le sue opere, a partire dai racconti di Gente di Dublino, ognuno una vera epifania al rallentatore, ognuno una manifestazione velata di significati non previsti.
    Ulisse poi è pienissimo di epifanie, di attimi inattesi, indimenticabili, scolpiti per sempre nella mente del lettore. E nel Finnegans Wake, ogni parola diviene epifanica, diviene rivelazione''. Qui in sostanza Joyce mette nel baule della sua immaginazione il potere del suo sguardo (''Gli occhi suoi cavare,/Scusa domandare,/Scusa domandare,/Gli occhi suoi cavare'') che vaga nei salotti, nelle strade di Dublino, nel cuore e nella mente dei personaggi per dipingerli a brevi tratti altamente espressivi. Lo stesso fa Giacopini nei disegni che illustrano il volume e rimandano in modo immediato l'universo di Joyce da parte di un autore che, confessa lui stesso, ha attinto il pennino nell'evidenza dei pochi colori, materia della sua sostanza creativa. ''E anche se il tempo degli epigoni è finito - scrive Giacopini a cento anni dalla pubblicazione dell'Ulisse e 140 dalla nascita dello scrittore - , di certo non si è concluso il bisogno di fare i conti con un autore il cui passaggio sulla terra ha cambiato semplicemente tutto. Dopo Joyce, dopo l'Ulisse, la letteratura è diventata futile. Non c'era più niente da dire''. (ANSA).
   

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