Cultura

il mondo secondo un Yehoshua natalizio

piccola Rachele a confronto realtà complessa e contraddittoria

Redazione Ansa

 ABRAHAM YEHOSHUA, ''LA FIGLIA UNICA'' (EINAUDI, pp. 158 - 18,00 euro - Traduzione di Alessandra Shomroni).
    Un romanzo apparentemente semplice, una storia di Natale che si potrebbe dire scritta con un sguardo e una lingua dedicati ai lettori più giovani, ma in cui Abraham Yehoshua mette molto di sé e di quel che vuole farci capire: la complessità del mondo contemporaneo con tutte le sue contraddizioni, magari incongruenti ma anche feconde, specie se visto con gli occhi di una bambina ebrea di oggi che vive in un paese cattolico come l'Italia.
    Questa adolescente ebrea, che si sta preparando al Bat Mitzvà, è Rachele e la conosciamo durante una giornata a scuola in cui verrà convocata dalla preside. Siamo alla viglia delle vacanze di Natale e in sala professori si mangia il panettone e lei avrebbe voluto, come vorrebbe anche la sua professoressa affascinata dal suo viso e dai suoi riccioli, fare la parte di Maria nel presepe vivente lì a scuola, se non che è arrivato il divieto di suo padre, che pare non capire la differenza tra una recita e una funzione religiosa e sembra eccessivamente rigido, visto che poi è poco osservante e mangia maiale, se non fosse che più avanti scopriremo come tale reazione avesse anche altre ragioni più profondamente personali.
    E' solo l'inizio della storia delle vacanze di fine anno, prima in montagna e poi sul mar ligure, di Rachele, certo, ma anche di tutta la sua composita famiglia, in cui il padre, il ricco avvocato Luzzatto, è appunto ebreo, la madre è una cattolica convertita al momento del matrimonio, i nonni, uno, quello paterno è anche lui avvocato e ebreo, l'altro è cattolico e di famiglia più modesta, sposato a una nonna che è invece un atea convinta, e ognuno ha un suo vissuto, un suo passato appunto famigliare e sociale, come si capisce da sottintesi e non detti. A questi si aggiungono altri personaggi e in particolare Paolo, un autista con una vecchia Land Rover, che insinua in Rachele qualche dubbio in lei italiana sulla sua fantasia di andare un giorno a vivere in Israele e sul fatto che bisogna avere curiosità su chi ti sta vicino, sugli altri, per capire qualcosa e non restare chiusi nel proprio bozzolo.
    Insomma, una complessità che è scuola di vita, e che Yehoshua intreccia con letture dal ''Cuore'' di De Amicis, libro che lo scrittore non trova retorico, dice di aver sempre amato e fondamentale per la sua formazione, che Rachele incontra prima a scuola, per iniziativa di una supplente che vuole gli alunni ne scoprano ''lo spirito candido e umanitario'', poi a casa, dopo averlo ricevuto in regalo a Natale, perché nonostante tutto le vengono fatti regali per questa festa cattolica, per poterne concludere la lettura, che si incentra sulla storia di Ciccillo in ''L'infermiere di Tata'' e poi del ''Piccolo scrivano fiorentino'', ragazzi che cercano con amore di aiutare e salvare il proprio padre in difficoltà o malato. E anche il padre di Rachele si scoprirà che è malato e lei racconta che gli è cresciuta ''un'appendice del cervello, un suo ampliamento, che aiuterà suo padre a meglio capire la realtà in continua evoluzione''. Perché questo testo complesso come ciò che racconta, riesce a farlo con una leggerezza e una chiarezza realistica che è però un po' fiabesca e un po' da cartone animato.
    Il mondo reale, visto con gli occhi di una ragazzina, anche narrato in terza persona, è stupefacente, perché è come sciogliesse le sue incomprensioni e contraddizioni con ingenua semplicità, a dimostrare che certi problemi forse non esistono, se solo si sanno affrontare nel modo giusto, con tolleranza e apertura mentale, così da sentirci meno soli, da non rimanere figli unici, cosa cui anche Rachele chiede si provveda. (ANSA).
   

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