Cultura

Memorie dell'insurrezione di Varsavia

il poeta Bialoszewski racconta e ricorda quei giorni tragici

Redazione Ansa

(di Paolo Petroni) (ANSA) - ROMA, 14 NOV - MIRION BIALOSZEWSKI, ''MEMORIE DELL'INSURREZIONE DI VARSAVIA'' (ADELPHI, pp. 332 - 22,00 euro - Traduzione di Luca Bernardini). Una grande chiesa distrutta perde il suo disegno architettonico generale per tornare a essere un insieme di materiali da costruzione: ''I resti della navata.... Assi. Un mucchio di macerie. Di detriti. Di calce. Di intonaco. Di cannicciato. Di schegge. Di mattoni. Di cornicioni.
    Di tutto. Di qualunque cosa''. Così la descrive il poeta Miron Bialoszewski (1922 - 1983) nella sua Varsavia devastata dai nazisti alla fine della insurrezione durata due mesi, dal primo agosto al 2 ottobre 1944, cui era stato dato il via dal Governo polacco in esilio a Londra con la speranza che i Russi, che occupano oramai quasi la metà orientale del paese, fermi al confine della Vistola, sarebbero intervenuti in aiuto degli insorti. Questo non accade, ci furono quasi 200 mila vittime e la città venne poi distrutta.
    E' una pagina tragica e epica della storia polacca, raccontata in molti modi e da molti dei pochi che sopravvissero.
    Lo ricorda e inquadra storicamente in un saggio finale il curatore dell'edizione italiana Luca Bernardini, cui si deve, oltre all'appendice con Mappe e Glossario dei luoghi, l'analisi del resoconto particolare, a modo suo, di Bialoszewski. Non è uno che prese le armi o facesse parte dell'Ak, l'Armata polacca interna clandestina, e il suo racconto di un testimone civile è puntiglioso e attento, che non si infervora o prende partito, ma assiste quasi da una posizione esterna del tutto antieroica e, ovviamente, senza un filo di retorica, cose che gli attirarono molte critiche quando furono pubblicate nel 1970, con lo stesso editore che trovava irritanti le prime pagine per lo stile della sintassi e la loro presunta colloquialità. ''Chiacchieravo dell'insurrezione - racconta del resto l'autore - Con parecchie persone.... Pensavo proprio per anni che questa insurrezione in qualche modo la dovevo descrivere, ma proprio 'descrivere'.... e che proprio questo chiacchierare è l'unico modo per descrivere l'insurrezione''.
    C'è però, naturale, implicito, più che nascosto in quel che descrive, uno sguardo carico di umanità proprio dove questa sembra non esistere più, pronto a cogliere aspetti curiosi, contrasti, avvenimenti paradossali, situazioni più o meno drammatiche, come quelle di coloro che vanno disperatamente alla ricerca di cibo o la folle giostra che continua a girare a fianco del muro del ghetto che bruciava con la gente dentro, perché lo scrittore aggiunge anche i ricordi della rivolta del ghetto dell'anno prima, 1943. E, mentre nelle chiese si intona ''All'armi, Gesù, Maria, all'armi'', canto della metà del Settecento al tempo della spartizione della Polonia, girando per la città per quel che è possibile, ecco naturalmente bombardamenti, morti e feriti, magari visti in cantine trasformate in precari ospedali d'emergenza, anche vicini alle rovine di un palazzo in cui il gruppo di sfollati di cui fa parte l'autore ha trovato precario ma, data la situazione, confortevole rifugio. Bernardini a proposito parla dello ''stupore'' di Bialoszewski, ''unica chiave per evitare ogni enfasi'' nel trovarsi davanti alla vita comune sconvolta dalla violenza della Storia in queste pagine davvero uniche. (ANSA).
   

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