Cultura

Elia Kazan, il compromesso tra arte e vita

Romanzo del 1967 sulla crisi di un uomo e di una società

Redazione Ansa

    Un romanzo interessante, una storia lunga oltre 600 pagine ma sufficientemente avvincente, questo dello scrittore e regista Elia Kazan, uscito alla vigilia delle contestazioni sessantottine (in questa stessa, bella traduzione di Ettore Capriolo) e pubblicato in italiano la prima volta proprio nel 1968, mentre l'omonimo film che l'autore ne trasse arrivò sugli schermi l'anno dopo con Kirk Douglas, Faye Dunaway, Deborah Kerr. Non a caso del 1968 perché narra la crisi di un uomo che si trova all'improvviso a fare i conti con la sua vita di compromessi nella società capitalista americana, dove per campar bene deve venderti al sistema.
    Facile pensare che in questo vi sia qualcosa di autobiografico, visto che un artista di successo e che si professava di sinistra come Kazan, già regista teatrale di testi di Tennessee Williams e Arthur Miller, fondatore dell'Actors Studio con Lee Strasberg e con due Oscar alle spalle per ''Barriera invisibile'' e ''Fronte del porto'', nel 1952 finisce per collaborare alla caccia alle streghe della Commissione McCarthy e fa nomi di attori e registi che sa impegnati a sinistra rovinandone la carriera, salvando la propria.
    Anche lui, di origine greca e nato a Istanbul nel 1909 ma portato ancora bambino in America (il suo vero nome era Elias KazancÕoglu), usa uno pseudonimo come il suo protagonista, Evangelos Arness che come Evans Arness è un giornalista estremamente critico e severo sulla società in cui vive, mentre firmandosi Eddie Anderson fa il pubblicitario, lavoro che è emblematico del sistema e coerente con le finzioni del sogno americano per cui guadagna molto bene in una grossa agenzia per la quale crea slogan che spingano al consumo.
    Il romanzo inizia con l'io narrante che confessa: ''Non l'ho ancora capito il mio incidente'', aggiungendo ''l'enigma era nel fatto che un uomo di successo come ero io avesse cercato di uccidersi'', cacciandosi con la macchina sotto un camion. In realtà tutto è successo dopo che la sua giovane amante Gwen lo ha lasciato, e che, grazie all'incontro con lei e il suo mettergli davanti agli occhi le contraddizioni della sua vita, era caduto in una crisi profonda. ''Nello stato d'animo in cui ero in quella notte non avevo neanche bisogno di mangiare.
    Potevo nutrirmi di aria umida e di visioni notturne'', non sentendo più assolutamente il bisogno di case, piscine, tre automobili e telecomandi per qualsiasi cosa, dal garage alla tv: è un periodo drammatico, tra liti famigliari, provocazioni sul lavoro, gesti illusori, tutto annegato in grandi bevute e ubriacature per dimenticare la sua esistenza fatta di arrangiamenti, di compromessi (il titolo originale del libro è appunto ''The arrangement'') .
    Sopravvissuto all'incidente, anche se lui vi vede un'inconscia intenzionalità, lascia il lavoro all'agenzia pubblicitaria. La moglie Florence, con cui aveva un bel rapporto da anni e che aveva tradito per Gwen, gli si riavvicina paziente amandolo ancora e cercando di portarlo a ricominciare la vita insieme (anche se lui non fa che parlarle dell'amante), quella vita che permetteva loro di campare agiatamente, ma di cui lui ora non vuole più saperne nulla. Non racconteremo molto di più, se non che poi Gwen ricompare pur stando oramai con un altro, ma avendo avuto un figlio di cui non sa chi sia il padre. Lasciamo al lettore scoprire la risposta agli interrogativi che il protagonista si pone alla fine, confessando di mettersi a scrivere ogni mattina: ''Ho soddisfatto le mie ambizioni? Quali erano? Faccio fatica a ricordarle''.
    Un romanzo americano senza retorica che cerca di tradurre in racconto ideologia e vita per coinvolgere il lettore, ma con una costruzione e una lunghezza che ne soffocano l'anima, il sentimento, pur conservando qualità tipiche di questo scrittore e regista, così che possiamo dire che vale per il libro quel che Morando Morandini ha scritto dell'omonimo suo film: ''diseguale e discontinuo, come il folto romanzo da cui deriva, ha il torto di essere un arrangement tra intellettuale e popolare, tra impegno critico e prodotto popolare. Specialmente nella prima parte è un film carico di quell'energia che fa di Kazan un regista del desiderio e dello slancio vitale. La qualità e la varietà del registro narrativo ne fanno un'opera da rivisitare''. E rivisitarlo è quel che ci spinge a fare Mattioli ripubblicando oggi ''Il compromesso'' con una partecipe introduzione di Gian Paolo Serino. (ANSA).
   

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