Cultura

I fratelli Mazzuca ricordano Indro Montanelli

A 20 anni da morte, la storia di un giornalista sempre contro

Redazione Ansa

ALBERTO E GIANCARLO MAZZUCA, INDRO MONTANELLI. DOVE ERAVAMO RIMASTI (Baldini+Castoldi, pp. 388, 19 euro). Probabilmente neppure il professor Sestilio Montanelli avrebbe potuto immaginare che Schizogene, quel quarto nome ("coniato dal greco per indicare un «generatore di separazione», più semplicemente un «seminatore di zizzania»") affibbiato forse solo per fare un dispetto alla suocera, avrebbe rappresentato per suo figlio Indro una sorta di segnale premonitore di una vita tutta condotta sempre controcorrente, come una "stecca nel coro". A raccontare la figura complessa e sfaccettata di uno dei più grandi giornalisti italiani, di certo il più divisivo, penna eccellente capace di radunare attorno a sé cerchie di detrattori e ammiratori in ugual misura, sono i fratelli Alberto e Giancarlo Mazzuca nel libro "Indro Montanelli. Dove eravamo rimasti?", in libreria con Baldini+Castoldi dal 15 luglio. Al di là della simpatia o meno nei confronti di Montanelli, che per i due autori e per molti altri giornalisti è stato un maestro, un direttore esemplare e una figura di riferimento, il volume non può non appassionare chiunque sia interessato a conoscere la storia del '900 e i suoi personaggi più importanti, seguendo lo sguardo di un uomo che quella storia non solo l'ha raccontata senza padroni, in modo acuto e provocatorio, ma l'ha vissuta in prima persona, nel bene e nel male. Le esperienze in Africa e quelle come inviato di guerra in Spagna e Ungheria, l'intervista casuale ed eccezionale a Hitler, il rapporto mai semplice con Berlusconi, l'attentato delle Brigate Rosse subito nel 1977, l'amarezza degli ultimi anni di un uomo giunto nel nuovo millennio ma legato ancora indissolubilmente al vecchio: nel libro c'è tutta la vicenda umana e professionale di Montanelli, uomo intelligente, accusato con la stessa foga da alcuni di fascismo e da altri di comunismo ("Passato per una ventina d'anni per fascista e negli ultimi dieci per comunista, me la rido di entrambe le etichette", diceva il giornalista), a lungo inviato speciale del Corriere della Sera, appassionato fondatore nel 1974 de Il Giornale prima e poi nel 1994, all'età di 85 anni, de La Voce. Gli aneddoti, le testimonianze, i nomi si rincorrono tra le pagine, creando un ritratto vivace e onesto di un cronista impossibile da incasellare in qualsiasi recinto ideologico, perché troppo libero, interessato solo a non deludere se stesso e soprattutto il lettore. L'evidente attualità della figura di Montanelli è forse il fil rouge di tutto il libro, e non solo per i vari riferimenti alle ultime vicende (l'imbrattamento della statua a lui dedicata a Milano, in riferimento all'esperienza della campagna d'Africa, durante la quale egli sposò Destà, una ragazzina etiope), ma proprio per la capacità straordinaria, valida ancora oggi, del giornalista di "leggere" l'Italia e la sua gente. (ANSA).
   

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