Cultura

Strehler, il ragazzo di Trieste compie 100 anni

Battocletti firma prima biografia del Maestro del Piccolo

Redazione Ansa

È il 26 dicembre 1997. Milano è una città scossa da Tangentopoli e svuotata per le feste. Una folla inizia a raccogliersi davanti al Piccolo Teatro. Gli sguardi sono impreparati, attoniti. Quell'ultimo viaggio, da Lugano all'Italia, nessuno, neanche i detrattori, lo avrebbero voluto così. Ma la morte è beffarda e si è portata via "il più grande regista del Novecento", come l'aveva ribattezzato le Monde, acclamato da Parigi Vienna, da Berlino a New York, l'invincibile socialista che dava del tu al capo di Stato francese, Francois Mitterrand, e al più potente segretario di partito italiano, Bettino Craxi. Il partigiano scampato alla Seconda guerra mondiale, l'immortale artista sopravvissuto a tutto (o quasi), dalla fame agli strali dei cattolici che criticavano la blasfemia delle sue regie al '68. Ma non a quelle "dimissioni" annunciate dall'Italia. È morto Giorgio Strehler (Trieste, 14 agosto 1921 - Lugano, 25 dicembre 1997), l'uomo che ha trasformato il teatro italiano, dentro e fuori il palcoscenico (in meno di ventiquattro ore saranno oltre novemila le firme sul registro della camera ardente). "È morto un re", come scrive Cristina Battocletti nell'Ouverture di "Giorgio Strehler. Il ragazzo di Trieste. Vita, morte e miracoli", che La Nave di Teseo porta in libreria nella collana i Fari, alla vigilia del centenario della nascita del regista (pp. 448 - 20,00 euro, con ricca galleria fotografica). Non un libro di teatro, ma la prima biografia completa sul fondatore del Piccolo, per la quale la Battocletti - giornalista, scrittrice, critica cinematografica della Domenica del Sole 24 Ore - ha lavorato oltre tre anni, tuffandosi tra l'archivio del Piccolo di Milano, quello di Trieste dove sono raccolte molte lettere private, ore e ore di spettacoli in video e una sessantina di testimoni che, curiosamente, "di lui parlano ancora al presente.
    "Strehler si amava tantissimo o si odiava totalmente - racconta all'ANSA l'autrice - Sono partita da quel che diceva Freud: è nei primi sei anni di vita che trovi tutti i temi di ciò che sarai". E a rileggere oggi la sua biografia è proprio così, dal tedesco imparato dalla balia che gli permette di diventare "l'erede di Brecht" ai dolori dell'infanzia che tornano nei chiaroscuri delle sue visioni. E poi l'amore per la musica, ereditata dalla madre violinista e ritrovata nelle regie d'opera; il pallino di un teatro per la città, sovvenzionato con soldi pubblici, perché fosse un diritto per tutti, che in realtà arriva dall'esempio del nonno Olimpio al Verdi di Trieste.
    "I miracoli di Strehler? - prosegue la scrittrice citando il sottotitolo del libro - Intanto, dire nel primo dopoguerra che il teatro non è solo divertimento, ma che ci si va per imparare.
    Poi esser riuscito a portare in Italia (al tempo ancora regno dei capocomici ndr) la figura del regista, un 'despota' che interpreta il testo e si impone per creare uno spettacolo perfetto. E quelle luci uniche, che strabiliavano". Una vita che è una grande avventura (o una grande mise en scene) e che nel libro scorre tra i primi, non proprio eccelsi, anni d'attore e la lunga amicizia con Paolo Grassi, con cui, grazie al sindaco "illuminato" Antonio Greppi, partirà l'avventura del Piccolo di via Rovello. E poi l'incontro della vita con Brecht, l'amore per Goldoni e Cechov, le battaglie continue con la politica. "Il suo era sempre un teatro politico - prosegue la Battocletti - Come quando, in piena Tangentopoli, aggiunse una battuta al suo Arlecchino: 'beati i tempi in cui gli uomini erano onesti'. Una pausa e venne giù il teatro". Uomo di eccessi, dalle sfuriate alle droghe, dalla generosità a scovare il talento alle donne.
    Amò Ornella Vanoni e per lei inventò Le canzoni della Mala aprendole una carriera nella musica italiana. Trasformò Milva in una stella (anche) del teatro canzone. Con Valentina Cortese, che era già una diva di Hollywood, firmò un Giardino dei ciliegi senza eguali. Poi la musa per eccellenza, Andrea Jonasson che lanciò in Italia nell'Anima buona di Sezuan, fino alla compagna degli ultimi anni Mara Bugni. Merito del libro, anche quello di svelare l'unica che riuscì a trattarlo da pari: Rosita Lupi, ballerina e coreografa (lavorò anche ai movimenti dell'Arlecchino) e prima moglie di cui ora si scopre il fondamentale e duraturo ruolo. Poi il dolore più grande: le "dimissioni da italiano" in un'escalation di inchieste giudiziarie, aut aut, cantieri interminabili per la nuova sede del Piccolo, contrasti con la giunta leghista. "Milano, il pubblico, la borghesia in platea erano cambiati - riflette oggi la Battocletti - Non c'era più Grassi a parare ogni colpo.
    Strehler era in un momento molto autoreferenziale e forse anche troppo vecchio per capirlo. L'acclamazione al funerale, no, non è una pacificazione. Ancora oggi l'invidia rincorre la sua figura - conclude - Ma non c'è storia del teatro senza di lui.
    Non solo in Italia, nel mondo". (ANSA).
   

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