Cultura

Fellini racconta Fellini

Nuova edizione del libro della Chandler a 100 anni dalla nascita

Redazione Ansa

 (ANSA) - ROMA, 20 GEN - CHARLOTTE CHANDLER, 'IO, FEDERICO FELLINI' (BUR RIZZOLI, PAG. 350, EURO 16) - ''Io, Federico Fellini è tutte le cose che Federico Fellini mi confidò lungo l'intero arco del nostro sodalizio, durato quattordici anni, dalla primavera del 1980, a Roma, fino a poche settimane prima della sua morte, avvenuta nell'autunno del 1993. Io, Federico Fellini è stato più parlato che scritto''. Ed ora quel libro, che uscì nel 1994, torna in occasione dei 100 anni della nascita del grande regista, il 20 gennaio del 1920, in una nuova edizione tascabile quanto preziosa. ''Ho una sola vita, ed è quella che ti ho raccontato. Questo è il mio testamento finale, perché non ho altre parole da aggiungere''. Ha messo insieme quelle parole Charlotte Chandler, già biografa di Groucho marx, Alfred Hitchcock, Marlene Dietrich, Ingrid Bergman, Bette Davis e Billy Wilder in un libro in cui il grande regista parla in prima persona come fosse una vera e propria autobiografia.
    Lui, che come racconta lo stesso Wilder nell'introduzione, amava così tanto raccontarsi parlando soprattutto di sesso e di donne, ''avventure amorose, passioni. Sapeva essere divertentissimo.
    Gli piaceva stupire le persone'', seduto al tavolo della sua osteria preferita, in campagna, a pochi passi da Cinecittà, dove sui tavoli razzolavano le galline. Un luogo italiano, per un uomo dal carattere profondamente italiano, come lo racconta la Chandler, dal corpo che sembrava ancora più imponente di quanto fosse e la voce così flebile che ti costringeva al contatto fisico che lui amava. Sempre leggero, sempre ironico, anche e soprattutto quando parlava di cose troppo serie.
    Un bambino solitario, un figlio unico per vocazione, che sapeva vivere nel suo mondo di fantasia, che aveva come eroi la nonna e il clown Pierino. Il ragazzo che credeva nei presagi, e aveva ''uno spiccato senso drammatico''. Poi dopo Rimini Roma, dove sentiva ''di essere arrivato a casa'', e voleva raccontare nel suo primo film il suo primo amore: una ragazza vista a 16 anni affacciata ad un balcone e che aveva pensato fosse un angelo. Poi la voglia di diventare giornalista perché gli era piaciuto il cappello di Fred MacMurray, Poi la sua timidezza, e la monogamia che ''non è una condizione naturale per un uomo''.
    Lui che non fu mai un marito perfetto ma era convinto di essere ''un buon marito''. E cercava di spiegarlo alla sua Giulietta che però aveva un'altra opinione ''aveva il suo punto di vista, completamente diverso dal mio, e altrettanto implacabile''.
    Convinto che ''gli uomini che amano le donne rimangono giovani''.
    E poi Federico Fellini, da Lo sceicco bianco in poi. Quello che voleva essere un capo infallibile, con l'orrore per ''uniformità e irrigimentazione'': ''non mi è mai piaciuto fare l'amore il sabato sera. Non mi è mai piaciuto fare le cose che immagino gli altri facciano nello stesso momento''. Che non ha mai abbracciato movimenti, se non per vaghe iniziali ispirazioni neorealiste. La solitudine, la solitudine. Come un faro fino alla fine. ''So che tipo di morte non voglio; non che ce ne sia una che preferisco, comunque. A lungo ho vissuto con l'illusione che la morte sia qualcosa che accade agli altri. Ora sono vicino a quello che è considerato il limite medio della vita di un uomo e so che il mio futuro è limitato. Ho eliminato la maggior parte delle mie carte non lasciando nulla di imbarazzante per me o per Giulietta. Non ho figli di cui preoccuparmi. Ho i miei film a rappresentarmi nel futuro: almeno, spero che lo faranno''.

Leggi l'articolo completo su ANSA.it