Cultura

Chanel Miller, tra violenza e rinascita

Si racconta la ragazza che scrisse una lettera al suo stupratore

Redazione Ansa

CHANEL MILLER, IO HO UN NOME -UNA STORIA VERA (LA TARTARUGA, PP 458, EURO 19,00) - Stuprata nel 2015, Chanel Miller ha deciso di raccontarsi con il suo vero nome nel memoir 'Io ho un nome- Una storia vera', che esce per La Tartaruga nella traduzione di Francesco Vitellini.
    Con lo pseudonimo di Emily Doe, la Miller aveva indirizzato a Brock Turner, l'uomo che ha abusato di lei, una lettera potente, pubblicata nel 2016 su BuzzFeed e diventata immediatamente virale. "Appena cinque mesi dopo aver letto la mia dichiarazione in tribunale fu eletto Trump. Fui colpita dalla stessa sensazione che mi aveva colpito quando il giudice aveva detto 'Sei mesi'. Presa alla sprovvista. Delusa. Distrutta" racconta la Miller che per metà è di origini asiatiche.
    "Il mio nome è Chanel. Sono una vittima, non ho nessun problema con questa parola, solo con l'idea che questo sia tutto ciò che sono. In ogni caso, non sono la vittima di Brock Turner. Non sono affatto sua. Non gli appartengo. Sono anche per metà cinese" dice la Miller nel suo libro -manifesto in cui mostra come il trauma della violenza si possa curare con il potere delle parole.
    A 22 anni, in quella notte di gennaio del 2015, era andata ad una festa nel campus della Stanford. Aveva bevuto un po' troppo e si è ritrovata per terra, molestata sessualmente. Salvata da due passanti, il giorno dopo, al risveglio, non ricordava nulla.
    Turner, "un atleta di spicco, un ragazzo molto intelligente e bello!" come è stato descritto in molti articoli di giornale, è stato fermato e ha confessato. E' cominciato così l'iter giudiziario, avvocati, aule di tribunali, appelli, ma il processo non ha reso giustizia alla Miller : Turner è stato condannato a sei mesi, poi ridotti a tre, mentre lei ha vissuto l'isolamento e la vergogna. Come un mantra nella mente di Emily-Chanel risuonavano queste parole: "vali più di tre mesi.
    La tua sofferenza vale qualcosa. Vali più di tre mesi".
    "Non sapevo che se una donna è ubriaca quando ha luogo la violenza, non viene presa sul serio. Non sapevo che la mia perdita di memoria sarebbe diventata la sua opportunità. Non sapevo che essere una vittima fosse sinonimo di non essere creduti" spiega nelle oltre 400 pagine del libro in cui sottolinea come in questi casi , "oltre al crimine in sè, la vittima inizi a pensare di se stessa cose degradanti".
    Come viene fatto notare nella quarta del libro: "Le venature in oro sulla copertina rappresentano l'arte giapponese del kintsugi, letteralmente 'riparazione in oro', che si usa per valorizzare le crepe degli oggetti di porcellana con una mistura di polvere d'oro e smalto, invece di trattarle come imperfezioni da nascondere. Questa tecnica ci insegna come, benché niente possa tornare al suo stato originario, i frammenti possono dare vita a qualcosa di nuovo e di intero". Ed è questo che ci dice la Miller, scrittrice e artista, che vive a San Francisco e ha studiato letteratura al College of Creative Studies alla University of California di Santa Barbara, in 'Io ho un nome' .
    "Quello che non avevo mai detto ad alta voce era che lo stupro ti fa desiderare di trasformarti in legno, dura e impenetrabile" spiega la Miller che però indica delle vie d'uscita, soprattutto nella solidarietà. "Nelle notti in cui vi sentite sole, io sono con voi. Quando le persone dubitano di voi o vi ignorano, io sono con voi. Ho lottato ogni giorno per voi.
    Quindi non smettete mai di lottare, io vi credo" scrive, rivolgendosi alle ragazze, nella lettera, riportata in chiusura del libro. (ANSA).
   

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