Cultura

La società signorile massa e la deriva inconsapevole

Nuovo testo di Ricolfi, interprete profondo condizione giovanile

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA, 24 OTT - LUCA RICOLFI, 'LA SOCIETA' SIGNORILE DI MASSA' (LA NAVE DI TESEO, PP.272, EURO 18). Jacopo ha una trentina di anni; laureato, sta cercando lavoro ma per ora ha trovato, con difficoltà, solo occupazioni retribuite non un granchè; però ha una famiglia che lo ama e ha supportato le sue scelte; è figlio unico; vive con i genitori nella casa di famiglia e trascorre parte delle sue vacanze nella casa di villeggiatura che mamma e papà, o i nonni, hanno al mare. E il tempo passa. Jacopo è l'esemplare tipo di neet a cui Luca Ricolfi fa riferimento nel suo "La società signorile di massa", appena uscito per i tipi de La Nave di Teseo.
    Statistico, sociologo, politologo e interprete profondo della condizione giovanile, con il suo nuovo libro Ricolfi descrive una nuova classe italiana che bene assorbe i tratti apparentemente contrastanti della nostra società e ne fa comprendere le diverse sfaccettature: da un lato un paese sempre più povero, dove cresce il disagio ed il divario sociale ed aumenta il numero dei dropouts, dall'altro quello di un paese dove ancora si vive e si invecchia bene, il benessere cresce; la qualità della vita migliora.
    Ed è lo stesso tiolo, apparentemente un paradosso, a spiegare le ragioni di questa complementarità di valutazioni così opposte: un società signorile di massa è quella nella quale chi consuma senza produrre ormai è più numeroso di chi lavora e produce. Un dato di fatto aldilà delle motivazioni, dice Ricolfi che spiega come, per la prima volta nella storia d'Italia, ricorrono insieme anche altre due condizioni: l'accesso ai consumi opulenti ha raggiunto una larga parte della popolazione; la produttività ha cessato di crescere e l'economia è entrata in stagnazione. Il risultato è quello di una società sempre più diseguale non solo nel lavoro ma anche nei diritti e nella percezione della realtà. Ricolfi non dà valutazioni morali di sorta ma va a fondo nel fenomeno, cercando le motivazioni che hanno portato alla società del Carpe diem in cui l'Italia sta galleggiando e chiedendosi quali siano le prospettive. Il caso dell'Italia emerge in tutta la sua singolarità scrive: "Abbastanza prosperi per permettere a tanti di noi di non lavorare, non siamo abbastanza produttivi per permetterci di conservare a lungo la nostra prosperità". Un equilibrio decisamente precario e destinato a rompersi, nel quale però ci stiamo cullando in un processo di lenta 'argentinizzazione'.
    Invece, dice Ricolfi, "vedere quello che siamo diventati sarebbe il primo passo, un passo doloroso ma indispensabile per conservare il nostro benessere e migliorare la nostra vita".

Leggi l'articolo completo su ANSA.it