Cultura

Rovina, il lato oscuro del progresso

La speculazione edilizia nel racconto a più voci di Simona Vinci

Simona Vinci, Rovina

Redazione Ansa

Una storia italiana purtroppo consueta, carica di desolazione e di colpe mai pagate, che ne contiene tante altre, ognuna disperatamente dolorosa: ci sono solo sconfitti tra le pagine di "Rovina", il racconto-saggio a più voci di Simona Vinci edito da Einaudi. Un sapore vagamente noir accompagna una scrittura serrata, coinvolgente come una narrazione fatta in prima persona: l'impressione per il lettore è di trovarsi di fronte a tanti flussi di coscienza, quanti sono i protagonisti del libro, confessioni dolenti che raccontano tanto di questa nostra povera Italia, così martoriata nella sua bellezza più vera, il paesaggio. "Rovina" infatti è una storia che denuncia il lato oscuro del progresso: ci troviamo lungo la via Emilia, in un territorio violentato dalla speculazione edilizia, tra costruzioni mai finite, cantieri fantasma, operai a nero e tir sempre in movimento. Qui, mentre fiumi di cemento fagocitano la pianura padana, si consuma l'ennesima illusione: quella del mai realizzato Villaggio La Nuova Aurora, che prometteva felicità e benessere dentro bellissimi appartamenti rivelatisi poi solo un miraggio, in un cantiere che infine ha visto i sigilli della magistratura a chiuderlo per sempre. Una promessa di futuro purtroppo tradita, che ha letteralmente rovinato tutti coloro che vi si sono trovati coinvolti: chi ci ha investito sperando di poterci ricavare tanti soldi, chi ci ha lavorato per sbarcare il lunario, tenendo sempre gli occhi aperti ma la bocca chiusa di fronte a ogni irregolarità, e infine chi ha acquistato su carta la sua vita da sogno. L'autrice si immedesima in tutti, anche in quella "imprenditrice" malavitosa alla testa del progetto, che poi è finita morta ammazzata in una macelleria. Adesso La Nuova Aurora è solo un incubo divenuto realtà, "una rovina del presente. Uno scavo emerso, che nessuno però può visitare. Si può soltanto guardarlo dall'alto, e da lontano", scrive Vinci, definendo quel posto "alieno, incomprensibile". E mentre il libro racconta del rincorrersi senza sosta nel tratto tra Parma e Reggio Emilia di capannoni vuoti, villette a schiera, outlet, allevamenti di maiali, cavalcavia, ruderi di vecchi casali di campagna, fabbriche, cantieri e condomini, in un brulicare continuo di camion, automobili e "forza lavoro" spesso schiavizzata, sembra di vederle davvero le vite spezzate di cui l'autrice parla: ecco Mario, geometra rimasto con un pugno di mosche in mano, lui che pensava di aver fatto l'affare del secolo e di potersi arricchire; ecco Sara, infermiera infelice che di Mario è diventata l'amante, e che proprio da lui è stata spinta a convincere suo padre affinché cedesse il terreno dove costruire. Infine Fabio e Marilena, che si sono indebitati per comprare una casa che mai verrà realizzata.
    L'ultima voce a parlare è quella dell'autrice che denuncia la sofferenza di un territorio e le responsabilità di una classe politica indifferente quando non connivente. Per Vinci la speculazione edilizia è un'ossessione, lo ammette. Ma il suo timore è che "se non ci si lascia ossessionare da mostruosità del genere, tutto finirà nel cemento", per colpa di uomini senza scrupoli e avidi di guadagno e con la complicità silenziosa di chi osserva lo scempio del territorio senza indignarsi né lottare.
   

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