Cultura

La balena morta di Krasznahorkai

Dall'Ungheria un romanzo affascinante e metaforico

La copertina del libro 'Melancolia della Resistenza'

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA, 15 OTT - LASZLO KRASZNAHORKAI, 'MELANCOLIA DELLA RESISTENZA'' (BOMPIANI, pp. 448 - 20,00 euro - Traduzione di Dora Meszaros e Bruno Ventavoli) Non credo sia un caso che si riscoprano oggi i romanzi di Laszlo Krasznahorkai scritti negli anni '80, perché nell'Ungheria di Orban e nell'Europa dei nazionalismi a tendenza autoritaria si dimostrano dense metafore di un'attualità sconcertante, pur parlando della decadenza e fallimento del regime comunista e dell'illusione che un giorno potrebbe arrivare qualcosa di nuovo. Dopo le attese, i ritorni e le dilanianti tensioni ambientate nella fangosa campagna ungherese raccontate in 'Satantango', ecco, con un titolo esemplare, 'Melancolia della resistenza', le speranze e le paure e il lento degrado sociale e materiale di una città che aspetta finalmente arrivi un qualche cambiamento.
    Il romanzo si apre con un treno con cui sta tornando a casa, nella sua cittadina nei Carpazi, la signora Pflaum e la descrizione di un viaggio cupo e claustrofobico che prende i contorni di una sorta di incubo, che ha il suo culmine all'arrivo, tra strade vuote, buie, silenziose dalla cupa atmosfera desolante. Siamo in un'epoca di generale e profonda sfiducia nel domani e in questo depresso sbandamento, in tanta piccolo borghese insicurezza, qualunque parvenza di ordine trova spazio per affermarsi. C'è l'inquietante sensazione "che potesse accadere di tutto. E quel di tutto spaventava più del pericolo di normali disgrazie, privava le persone di giudizio e ragione con l'effetto evidente di un'apatia generale". Si parla di "pantano morale", di un "mondo abbandonato alla guida nauseante dell'ozio lascivo e di una fiacca volontà", di cui sono un allarme anche i lampioni per strada che non si accendono più. Ma il vero segno di qualcosa di inaspettato, incomprensibile in tanto surreale disfacimento è l'arrivo dei carrozzoni di un circo la cui unica attrazione è una grande balena morta, simbolica come Moby Dick ma anche Il leviatano di Hobbes, metafora di un assurdo mondo alla fine.
    In questa realtà a essere un po' perno del racconto è la signora Eszter, ambiziosa presidente del Comitato femminile cittadino, che si sente "padrona del futuro", siccome per lei "quel lento e inesorabile degrado non indicava più la deludente fine di un mondo, anzi le sembrava l'annuncio di qualcosa che avrebbe sostituito un mondo fallito: non dunque un epilogo, ma un inizio". Il marito, il Direttore Eszter, invece vive recluso in casa, "maestro della rinuncia all'agire" per il quale persino "guardar fuori dalla enorme finestra progettata per tempi migliori sarebbe stato un gesto insensato". E' lei che approfitterà della confusione, la curiosità e dello sconcerto provocato dalla presenza della balena tra i suoi smarriti concittadini, per cercare di prendere in mano il potere con metodi assolutamente autoritari e l'aiuto quasi automatico delle forze dell'ordine, dando spazio ai sentimenti peggiori, dall'invidia alla rabbia, disprezzando cultura, scienza e fede in nome di nuove superstizioni. E qui spicca l'innocenza sapiente e inconsapevole di un bellissimo personaggio poetico e quindi naturalmente sovversivo come Valuska, detto Janos, figlio della signora Pflaum.
    Krasznahorkai racconta tutto nei particolari, fatti e persone, "esaminando - per usare sue parole - la realtà sino al limite della follia", per avvincerci con la tensione del procedere degli avvenimenti e i pensieri dei suoi personaggi, ma la forza del romanzo è nella lingua, nel procedere per periodi lunghissimi, tutti subordinate, in una magmatica, lenta colata lavica di parole, di frasi che avvolgono e catturano con la loro meticolosità di particolari e forza visionaria, in un andamento ipnotico che non conosce pause dall'inizio alla fine. (ANSA).
   

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