Cultura

L'inafferrabile anima in fuga di Brodkey

Mille pagine affascinanti e irritanti di un romanzo magmatico

La copertina di Harold Brodkey, L'anima che fugge

Redazione Ansa

(ANSA) - ROMA, 4 OTT - HAROLD BRODKEY, 'L'ANIMA CHE FUGGE' (FANDANGO, pp. 1066, 32,00 euro - Traduzione di Flavio Santi).
 Con un linguaggio ricercato, fluviale e ipnotizzante, questo romanzo "esplora senza timore la giovinezza e la maturità, l'amore e la perdita, il sesso e la morte, il matrimonio e la famiglia di Wiley Silenowicz, un lucido sessantenne dall'anima ipertrofica e molteplice", come si legge nel risvolto di copertina di questa traduzione, opera estremamente impegnativa e di alto livello di Flavio Santi edita da Fandango. Ed è tutto vero. In queste oltre mille pagine ambiziose e sofferte, magmatiche e imprevedibili, costate come sappiamo quasi 30 anni di lavoro e riscritture a Harold Brodkey (1930-1996), si affrontano tutti i grandi temi dell'esistenza con un flusso che da una parte fa necessariamente pensare all'Ulisse di Joyce e dall'altra ha portato Harold Bloom a definire l'autore ''un Proust americano'', mentre Santi spiega di aver usato ''pennellate alla Gadda e alla Manganelli, che stilisticamente sono forse gli esempi più prossimi allo stile bizzarro e bizzoso, composito ed esplosivo di Brodkey''.
    Un libro affascinante e respingente, una lettura certamente impegnativa, dispersiva, e assieme coinvolgente, un lago che si rivela assai poco placido e in cui si rischia di essere portati a fondo, tornando poi a galla, magari storditi e emotivamente coinvolti quanto insofferenti. Molto, quasi solo teatro mentale, dando spazio a ogni percezione ("procedo di attimo in attimo nel continuum della mia vita subissato di sfarfallii") e poco mondo e società reali ("La realtà cangiante e convulsa è tutto ciò che mi circonda e risucchia il mio cuore come se avessi una bocca nel mezzo del petto"), in un continuo tentativo di costruirsi e assieme entrare in crisi della propria identità. Dopo la tragica morte della madre, Silenowicz ripercorre e rivive e riesanima tutta la propria esistenza, partendo dal trauma dell'esser nato, il rapporto col padre morto anche lui troppo presto, e l'essere stato adottato molto piccolo da un cugino con una moglie assai fragile. Una fragilità che è anche della sorella borderline, pure lei votata a morte prematura, e che è anche dell'io narrante per il quale la scrittura è evidentemente una rivalsa, un mettersi in lotta e impegnarsi a sopravvivere, invece di cedere alle difficoltà e l'incomprensione dell'esistenza. Tutto sino alle pagine più intense, misteriose, poetiche, realistiche e forti, della scoperta del sesso, dell'amore omosessuale, prima con Daniel, un cugino, poi con Remsen, in un continuum, in cui sentirsi persi come il protagonista, di interpretazioni, ipotesi, percezioni fugaci senza fine (la conclusione è quindi: "Per il momento facciamo una pausa. Restiamo in silenzio"). Ovviamente Wiley è un alter ego di Brodkey, americano di famiglia ebrea russa, rimasto presto orfano e adottato da alcuni parenti. Sofferenze da cui nasce il suo bisogno di scrivere (di "risalire alle radici dell'esperienza e raccontare, in maniera non convenzionale e una lingua non stereotipata, come si presenta alla coscienza e quali reazioni scatena"), arrivando nel 1958 alla pubblicazione di 'Primo amore e altri affanni' (sempre pubblicato da Fangdango che ne sta coraggiosamente riproponendo tutta l'opera). Visse anche vari anni in Italia, a Venezia, sino a quando nel 1992, raccontò di essersi preso l'Aids, malattia di cui morirà quattro anni dopo e di cui ha raccontato in 'Questo buio feroce', da cui trasse un intenso spettacolo Pippo Delbono.
   

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