Cultura

Hannah Arendt e Leni Yahil, esce in Italia il carteggio

Amicizia negli anni del processo Eichmann e la Banalità del male

La copertina de L'amicizia e la shoah di Hannah Arendt

Redazione Ansa

(ANSA) - BOLOGNA, 21 SET - HANNAH ARENDT - L'AMICIZIA E LA SHOAH, CORRISPONDENZA CON LENI YAHIL (EDIZIONI DEHONIANE, introduzione di Ilaria Possenti, traduzione di Fabrizio Iodice, pp.112, euro 9,80). Nella primavera del 1961 la filosofa ebrea tedesca Hannah Arendt si reca a Gerusalemme come inviata del settimanale "The New Yorker" per seguire il processo al gerarca Adolf Eichmann, considerato uno dei maggiori responsabili dello sterminio degli ebrei nella Germania nazista. Criminale di guerra sfuggito al processo di Norimberga, si era rifugiato in Argentina, ma era stato catturato dai servizi segreti israeliani e processato in Israele. In quella circostanza Hannah Arendt incontra Leni Yahil, storica israeliana di origine tedesca e studiosa della Shoah, emigrata in Palestina nel 1934.
   

E' l'esordio di un'amicizia che tuttavia non potrà mai consolidarsi, come dimostra il carteggio, finora inedito in Italia, pubblicato nella collana "Lampi d'autore" della casa editrice bolognese. Lo scambio epistolare illumina la diversa sensibilità delle due donne rispetto a temi di particolare rilievo, come l'appartenenza a un popolo e il rapporto tra politica e religione. Nel 1963, dopo la pubblicazione degli articoli della Arendt sul processo Eichmann, in seguito riuniti nel volume "La banalità del male", il rapporto tra le due studiose si interrompe bruscamente. Arendt si interroga sulla figura dell'imputato, sui fatti storici e sui "crimini contro l'umanità" nell'ampia prospettiva di una riflessione filosofica sul male, mentre Yahil considera il reportage arendtiano uno "scritto accusatorio" nei confronti del popolo ebraico e delle sue responsabilità. Il tentativo di far rivivere la corrispondenza otto anni più tardi è destinato a fallire: l'amicizia tra le due donne non riesce a reggere le polemiche e i contrasti suscitati dal processo - che condannò Eichmann a morte per genocidio - e dal libro che ne era scaturito.

"La tesi della 'banalità del male' - scrive Ilaria Possenti nell'introduzione al carteggio - mette in questione l'idea tradizionale, di derivazione kantiana, di un 'male' che mette radici nell'animo umano e si manifesta in una volontà 'malvagia'. Il male politico avrebbe a che fare con una situazione molto diversa - che Arendt chiama 'mancanza di pensiero' - e il 'burocrate' Eichmann rappresenterebbe un caso esemplare di questo fenomeno. All'epoca della 'soluzione finale', infatti, come un novello Ponzio Pilato egli aveva voluto restare al proprio posto, smettere di pensare e limitarsi a obbedire. Per questo - prosegue Possenti - aveva lavorato allo sterminio e per questo doveva essere condannato. Il fatto che Eichmann non sembrasse un mostro, un sadico o uno psicopatico, ma un uomo 'normale', non cambiava minimamente l'enormità dei suoi crimini, ma li rendeva semmai più inquietanti". (ANSA).

   

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