Cultura

Eugenio Borgna, Le parole che curano

Elogio della comunicazione dal volto umano

Redazione Ansa

EUGENIO BORGNA, 'PARLARSI. LA COMUNICAZIONE PERDUTA' (EINAUDI, 96 pp., 11 euro) Uno dei padri della psichiatria del secolo scorso, svizzero Ludwig Biswanger, diceva che le esperienze psicopatologiche altro non sono se non disturbi della comunicazione. E' nella comunicazione allora - questa "parola valigia" o "parola marmellata" di cui oggi si fa un gran discutere a sproposito - che va ricercata la soluzione. E' un precetto che non è valido solo per i malati e su cui un altro psichiatra di pluridecennale esperienza, Eugenio Borgna, medita nel centinaio di dense paginette del suo ultimo saggio, che s'intitola semplicemente 'Parlarsi'. Parlarsi, e non parlare, perché la chiave per una comunicazione autentica è la capacità di armonizzare la nostra esperienza del tempo con quella degli altri, sani o meno che siano, lo sforzo di immedesimarci nei loro pensieri, di farci carico delle loro ferite, di condividere i loro desideri. Di donarci reciprocamente (la radice della parola comunicazione è nel latino munus, dono), ciascuno con le proprie incertezze e fragilità, anche, paradossalmente, quando il dialogo è con noi stessi. Borgna appartiene alla schiera di quei medici che non credono che i processi mentali possano ridursi al mero dato organicistico e la cura dei malati alla prescrizione di farmaci.
    Ecco perché anche nei suoi libri, in questo come in altri, non fornisce mai ricette pronte all'uso, ma ci consegna una serie di riflessioni capaci di risvegliare "le antenne leggere della intuizione e della sensibilità personali". Lo fa con toni appassionati e delicati, lontani dall'asetticità del manuale scientifico e dalla freddezza dell'elenco di istruzioni, con l'aiuto costante delle parole di altri, romanzieri, poeti e filosofi. Un aiuto tanto puntuale che potrebbe apparire un eccesso di citazionismo, se non fosse che l'autore stesso, da saggio qual è, ci ricorda che da sempre l'arte è stata una preziosa alleata nell'esprimere ciò che la scienza fatica a rendere comprensibile. "La psichiatria, quella fenomenologica - scrive Borgna - già agli inizi della sua storia, si è richiamata alla poesia al fine di rendere dicibili il dolore e la tristezza, la gioia e la tenerezza, che fanno parte della sofferenza psichica".
    Eppure, non sono solo le parole a fare il dialogo. Quando le parole non ci vengono, o quando ciò che abbiamo dentro non può essere espresso con il linguaggio verbale, arrivano i silenzi e la capacità di interpretarli: il silenzio dell'attesa, quello dello stupore e della meraviglia, quello dell'angoscia, quello della depressione. E arrivano anche quelli che Borgna definisce i gesti "del corpo vivente", cioè le carezze, gli abbracci, le metamorfosi del volto, i sorrisi e le lacrime, che sempre s'intrecciano ai silenzi e alle parole. 'Parlarsi' va dritto all'essenza della comunicazione "primigenia", quella cioè intesa come condivisione, isolata dalle sue sfaccettature moderne - i messaggi, le email, la tv, i social network - e ben distinta dai suoi surrogati, le chiacchiere inconsistenti, banali, frivole, che non lasciano traccia nella mente di chi le pronuncia, né in quella di chi di chi le ascolta. Perché comunicare, comunicare davvero, significa essere pronti a immergersi nella vita interiore dell'altro, con il suo carico di dolore e interrogativi, realizzando appieno la propria umanità. Per dirla con Reiner Maria Rilke, caro a Borgna, "solo chi è disposto a tutto, chi non esclude nulla, neanche la cosa più enigmatica, vivrà la relazione con un altro come qualcosa di vivente e attingerà sino al fondo la sua propria esistenza". (ANSA).
   

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