Cultura

Amira in cerca di identità nel conflitto israelo-palestinese

In sala pluripremiato film regista egiziano Mohamed Diab

Redazione Ansa

- Il conflitto israelo-palestinese da un punto di vista inedito. Quello di AMIRA (Tara Abboud), palestinese diciassettenne concepita con il seme di Nawar (Ali Suliman), trafugato dalla prigione nella quale egli è recluso.
    Ora sebbene sin dalla sua nascita il rapporto tra Amira e il padre fosse limitato alle sole visite in carcere insieme alla bella madre Warda (Saba Mubarak), il terrorista Nawar rimane il suo grande eroe. L'assenza della figura paterna nella vita della ragazza è però ampiamente compensata dall'amore e dall'affetto di coloro che la circondano.
    Tuttavia, quando il tentativo fallito di concepire un altro bambino porta a galla la sterilità di Nawar, il mondo di Amira viene stravolto. Di chi è mai la figlia e la madre chi è davvero? "Avevo letto su alcuni giornali che le coppie palestinesi riuscivano a concepire i figli anche se il padre era detenuto in Israele. Un sistema di traffico permetteva allo sperma di essere trasportato fuori dalle carceri. Questo sistema di concepimento mi ha colpito e ho iniziato a immaginare i possibili sviluppi narrativi, gli imprevisti che poteva portare un concepimento del genere - spiega Mohamed Diab, il regista egiziano di AMIRA, in sala dal 20 aprile grazie a Cineclub Internazionale Distribuzione in collaborazione con MedFilm Festival - .Ma soprattutto ho pensato alle grandi domande esistenziali, quasi filosofiche, che andavano al di là del conflitto israelo-palestinese e potevano essere estese a molte situazioni: cosa succede ad un giovane che viene concepito in questo modo? Da dove vengono le sue idee? Da dove ha origine il suo sistema di valori? Quali credenze vengono ereditate?".
    AMIRA, Premio amore e psiche come miglior film e Premio Diritti Umani Amnesty International Italia, spiega ancora il regista: "Nasce dalla scrittura in comune con la mia famiglia: mia sorella, mio fratello e mia moglie, che è anche la produttrice del film. Abbiamo iniziato a scambiarci idee e subito abbiamo capito che la sfida del film era immaginare che Nawar non fosse il padre biologico di Amira. Sua moglie è trattata da tutti come la moglie di un eroe, sua figlia è considerata la figlia di un eroe. Ma se l'eroe non è il marito e il padre che pensavano, cosa succede? Potrebbe essere un dramma shakespeariano, ma la storia è ambientata nella Palestina di oggi, in una città le cui strade sono costellate di ritratti di eroi della libertà - eroi e martiri per i Palestinesi, terroristi e criminali per gli Israeliani. Onorare e celebrare gli eroi è fondamentale per la causa palestinese e i figli concepiti attraverso il traffico di sperma - circa un centinaio al momento - sono un simbolo della lotta contro l'oppressore e un esempio dello spirito palestinese. Un modo per dire che questi combattenti non si arrendono; se vengono uccisi, i figli prenderanno il loro posto e la battaglia contro l'oppressore non si fermerà mai".
    E ancora Mohamed Diab su questo suo film che ha vinto anche il Premio Giuria Ecumenica e il Premio Lanterna Magica al Festival di Venezia 2021: "Io sono egiziano: il mio vantaggio è vedere questa storia attraverso la prospettiva di uno straniero perché ho uno sguardo diverso sul più grande conflitto dei nostri tempi, che va avanti da più di ottanta anni. Ho fatto molte ricerche, ho parlato con tanti palestinesi, ho letto il più possibile. Volevo avere una squadra di palestinesi che conoscessero nei minimi dettagli la vita quotidiana in Palestina. Avevo bisogno di un produttore palestinese e sono felice che sia stato Hany Abu Assad, che è stato la mia guida e i miei occhi. Ho cercato di fare questo film con il massimo rispetto, senza dimenticare mai che non sono palestinese. Questo è il motivo per cui faccio cinema: per conoscere nuove culture, aprire gli occhi, guardare il mondo diversamente. Ed è stato un privilegio lavorare a questo film per tre anni, sia professionalmente che umanamente". (ANSA).
   

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