Cultura

Lavoro globalizzato e conflitto morale, Un altro mondo

Nel film di Brizè, Vincent Lindon ceo alle prese con i tagli

Redazione Ansa

E' un film da non perdere, Un altro Mondo (Un autre monde) di Stephan Brize' con Vincent Lindon, ultimo capitolo (dopo La legge del mercato e In guerra) di una trilogia con lo stesso attore francese tutta puntata a raccontare, anche con bei pugni nello stomaco, la crisi economica e la globalizzazione: questa volta il punto di vista è dell'imprenditore costretto a licenziare tanti suoi operai.
    Brizé porta in scena il ricatto dell'economia globalizzata, la deriva dell'ultra liberalismo, interrogandosi sulla questione della scelta e della responsabilità.
    Il film, già in concorso alla Mostra del cinema di Venezia 2021, designato film della critica, è passato anche nella selezione del Rendez Vous del nuovo cinema francese appena conclusosi a Roma. Il film è in sala distribuito da Movies Inspired.
    Ci sono quindi anche le ragioni dei Ceo, non solo quelle degli operai e sindacalisti: Brize' sposta la prospettiva dalla parte opposta mettendo in scena Philippe Lemesle (Lindon), affermato dirigente di un'industria di elettrodomestici americana che deve fronteggiare le assurde richieste della casa madre di nuovi ulteriori tagli al personale. Non solo Lemesle si trova alle prese con un imminente divorzio con la moglie (Sandrine Kimberlain) e con un figlio adolescente problematico. Forse per la prima volta sul grande schermo si vede che un cuore ce l'ha anche chi di soldi ne guadagna tanti e sembra non capire mai le ragioni degli operai.
    E ancora, far vedere che il capitalismo assoluto alla fine stritola tutti, gli operai che rischiano di perdere il posto in un mercato globale in cui la delocalizzazione è dietro l'angolo, ma questo vale anche per chi è in questa macchina un ingranaggio più grande. Anche lui può essere stritolato se incapace di stritolare.
    "Certo, in questo film - ha detto Brize' - si può vedere una sorta di 'controcampo' del precedente In Guerra. Lì c'era un sindacalista in azione e qui invece un dirigente che ha il compito di far sparire, licenziare parecchi operai per salvare il posto agli altri. Insomma un film lontano dalla facile dialettica semplicistica tra buono e cattivo. Dietro ogni persona c'è sempre il sistema, e questo film parla di sistema".
    E ancora il regista, alla domanda su come si sia preparato: "Premetto che non sono un intellettuale e non sono certo qui per spiegare come funziona un sistema. Io metto in scena uomini e donne per far capire meglio come funzionano certe cose. Certo - aggiunge - è molto più facile sentirsi in empatia con i perdenti". Vincent Lindon, rinnovando il sodalizio con Brizè, offre una prova al solito eccellente. "Questo film fa capire come persone molto diverse possano essere prese dalla spirale del sistema che rompe ogni cosa compreso il rapporto familiare". "Come recito? Lo faccio in maniera istintiva - dice Sandrine Kimberlain -. Il mio personaggio ha il coraggio di lasciare un uomo che ama, il marito, una volta che capisce che quella è la scelta giusta e lo lascia pur amandolo ancora. Questo - conclude l'attrice, classe 1968 - è una sorta di detonatore che fa aprire gli occhi al marito. Lei si trova sull'orlo del precipizio e dice a un certo punto: io mi fermo".
    In nove lungometraggi, il cineasta francese si è imposto con un cinema politico, asciutto, che affonda le sue radici nel reale, con un taglio naturalistico e insieme profondamente umano. (ANSA).
   

Leggi l'articolo completo su ANSA.it