Cultura

100 anni da Addio Giovinezza, l'Operetta cantata nelle trincee

La prima rappresentazione nel 1915 al Teatro Goldoni di Livorno

Redazione Ansa

- Indimenticabile, a cento anni di distanza, “Addio Giovinezza” operetta goliardica di Giuseppe Pietri, su libretto di Sandro Camasio e Nino Oxilia. Venne rappresentata al Teatro Goldoni di Livorno per la prima volta in musica nel 1915, all’inizio della Grande Guerra, la si rammenta ancor oggi perché alcuni suoi motivi struggenti e melanconici venivano cantati dai nostri soldati in trincea.

Era quella l’epoca in cui furoreggiava il genere operettistico inaugurato nella metà dell’ottocento da Jacques Offenbach, autore di “Orfeo all’inferno”, “La bella Elena”, “La Vie Parisienne”, e culminato con i capolavori di Franz Leahr quali “La vedova allegra” e “La danza delle libellule”. Va evidenziato che proprio la versione musicale del toscano Pietri (dopo una prima messa in scena firmata da Camasio e Oxilia, nel 1911, come semplice commedia studentesca), ha segnato la nascita dell’Operetta italiana che poi è andata avanti fino agli anni ’30 quando si sono imposti il varietà e la rivista.

Il successo di “Addio giovinezza” si deve pertanto essenzialmente al suo carattere intessuto di nostalgia che faceva presa sui giovani impegnati al fronte in una guerra tra le più sanguinarie. Gli autori del testo, ambientato a Torino, ben raccontano il tramonto dell’età scapigliata con calore umano tenero e crepuscolare. L’ambiente goliardico è ritratto con sincerissima adesione. La storia è quella di una semplice sartina che si innamora dello studente che sta a pensione a casa sua, che poi si laurea, che poi se ne va, con una musica naturale e semplice dalla prima all’ultima nota, mirabili i duetti fra i protagonisti Mario e Dorina, magnifici i momenti brillanti e i cori dalle note spensierate. Il tutto intramezzato da paillettes, lustrini e champagne.

Si può dire, a conti fatti, che “Addio Giovinezza” sia stato amato da cinquecentomila soldati, poi caduti, fra cui anche lo stesso Nino Oxilia perito durante la ritirata di Caporetto nel 1917. Molto interessato al soggetto è stato il cinema che gli ha dedicato ben quattro pellicole. Il più riuscito e assai applaudito è quello realizzato nel 1940 da Ferdinando Maria Poggioli, su sceneggiatura di Salvator Gotta, film elogiato dalla critica perché seppe mantenere la gentilezza e il profumo del lavoro originario, interpreti dalla sincera ed immediata recitazione Maria Denis, Adriano Rimoldi, Clara Calamai, Carlo Campanini (da annotare, fra l’altro, la significativa coincidenza della sua realizzazione con l’inizio di un altro atroce conflitto, la seconda guerra mondiale).

In precedenza, nel 1913, era stata girata da Sandro Camasio una riduzione tratta dalla sua commedia originale, protagonisti Lidia e Letizia Quaranta, Alex Bernard e Amerigo Manzini. In seguito, due film diretti da Augusto Genina, uno dei maggiori nomi del cinema italiano: il primo, nel 1918, con Maria Jacobini (vedova di Oxilia) e Lido Manetti; il secondo, nel 1927, attori Elena Sangro e Walter Slezak. La produzione del 1918 è stata in anni recenti restaurata dalla Cineteca di Bologna in forma digitale. (ANSA)

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